La solitudine dei lavoratori
La solitudine dei lavoratori è il titolo di un libro di Giorgio Airaudo. Insieme ma soli è il titolo di un saggio di Sherry Turkle sul rapporto degli uomini con la tecnologia, ciascuno aspettandosi sempre di più dalla tecnica (perfino l’amicizia) e sempre meno dagli altri (e dando agli altri sempre meno di sé).
Lavoratori oggi lasciati soli dalla crisi, dal sindacato, dalla sinistra; ma anche (e prima ancora) cittadini sempre più soli. In una democrazia dove sono stati fatti cadere i legami e le relazioni di solidarietà e fraternità e i diritti sociali e di libertà e dove viene progressivamente meno la possibilità di stare/fare/decidere insieme dal basso. Dove lo spazio pubblico è residuale, ogni cosa viene privatizzata e tutto si gioca sul carisma individuale (reale o frutto di marketing politico). Tra lavoro e politica l’unico rapporto possibile, ammesso e anzi incentivato è quello personale e individuale: di delega in politica; di isolamento, sub-ordinazione e assoggettamento individuale nel lavoro; o le due cose insieme. Si è così compiuta la volontà di Margaret Thatcher, ovvero la società non esiste, esistono solo gli individui: era una evidente stupidaggine e invece è diventata la grammatica dei nostri tempi e il discorso comune che tutti dicono e confermano. Con disuguaglianze crescenti al crescere della solitudine.
Indignatevi!, diceva Stéphane Hessel. E poi: Impegnatevi! E invece, poca indignazione e pochissimo impegno. E moltissima rassegnazione. Cornelius Castoriadis negava che la storia fosse lotta di classe («Di solito gli schiavi, gli oppressi, i contadini poveri eccetera sono rimasti al loro posto, hanno accettato lo sfruttamento e l’oppressione, arrivando a benedire gli zar»), ma aggiungeva che «caratteristica specifica del mondo occidentale è stata proprio questa dinamica interna del conflitto, questo mettere costantemente in discussione la società. Ma oggi? Conclusosi con un fallimento il tentativo di democratizzare il capitalismo, a mettere costantemente in discussione la società è il capitalismo nella sua ultima follia chiamata neoliberismo. Il conflitto è scomparso mentre si moltiplicano gli scontri. Anche chi dice di essere il 99% si ritrova solo.
Solitudine. O isolamento. Un effetto inevitabile? Quando si analizzano i caratteri strutturali dell’organizzazione del lavoro, da un lato vi è la sua divisione ma questa divisione/individualizzazione del lavoro è funzionale alla sua totalizzazione. I due processi sono strettamente connessi (Foucault) e stabili nel tempo. Dalla catena di montaggio alla rete (come prosecuzione della catena di montaggio con altri mezzi). Isolamento e individualizzazione e poi totalizzazione: un tempo avvenivano dentro la grande fabbrica fordista, permettendo ancora una contro-organizzazione dei lavoratori. Un problema risolto dal sistema facendo stipulare il famoso (ma oggi dimenticato) matrimonio di interesse tra capitale e lavoro. Poi (semplificando), il capitale ha fatto credere di aver capito che la disciplina e la fabbrica-caserma erano controproducenti (non tutti: Foxconn, Fiat e Amazon credono ancora nella fabbrica-caserma) e che il mercato richiedeva altro. Il toyotismo è stato così la trasformazione della fabbrica disciplinare in (Marco Revelli) comunità di lavoro. L’alienazione non scompariva, ma veniva ben mascherata dall’idea di autonomazione e di comunità. E l’isolamento aveva nell’offerta comunitaria e nell’illusione di autonomia la compensazione alle dissonanze cognitive create dal nuovo modello organizzativo. Mentre il fordismo usciva dalla grande fabbrica e si territorializzava suddividendo il lavoro e la produzione sul territorio, per ricomporle in vario modo nel distretto; e poi si de-territorializzava nella globalizzazione e nella catena globale del valore.
Comunità e isolamento. Meccanismo che si replica e accresce appunto in rete, dalla wikinomics al lavoro di conoscenza alle retoriche del condividere e dell’essere connessi; e nella compensazione emotiva data dalla moltiplicazione delle comunità/community di lavoro o di brand. Obiettivo: eliminare il conflitto tra impresa e lavoro o tra consumatore e produttore (ecco l’invenzione del prosumer), non far percepire il senso di vuoto prodotto e mascherare l’immutabile alienazione grazie magari all’ultima invenzione della psicologia, il thing agent, l’agente comunitario capace di sviluppare relazioni tra le parti al lavoro. Perché l’alienazione è anche in rete, se il possesso di un personal computer non evita che il mezzo di lavoro (materiale o di conoscenza), così come il prodotto e il profitto di questo lavoro siano sempre di qualcun altro.
Isolati, dunque. Ma connessi. Quindi docili e utili. Individui falsi e falsamente liberi di scegliere: falsi come i falsi bisogni secondo Marcuse, utili al rafforzamento del sistema che li produce. Anche contro tutto questo serve un’altra Europa.
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