Turchia. Primo maggio di scontri, Erdogan carica i lavoratori

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Metro­po­li­tana chiusa, linee degli auto­bus inter­rotte, col­le­ga­menti tra la sponda euro­pea e quella asia­tica sospesi, le prin­ci­pali arte­rie della città bloc­cate dalle tran­senne della poli­zia, qual­siasi accesso al cen­tro blin­dato per impe­dire ai lavo­ra­tori di avvi­ci­narsi, ieri Istan­bul si è tra­sfor­mata in una citta fantasma.

«Scor­da­tevi piazza Tak­sim», aveva detto sprez­zante Erdo­gan mar­tedì, e i divieti della pre­fet­tura che ha schie­rato 40 mila agenti, non hanno sco­rag­giato le con­fe­de­ra­zioni di base Disk e Kesk deter­mi­nate a mani­fe­stare nella piazza sim­bolo del movi­mento ope­raio turco. Nono­stante i fermi pre­ven­tivi dei giorni pre­ce­denti e i posti di blocco della poli­zia che hanno impe­dito ai pull­man dei sin­da­cati di avvi­ci­narsi al cen­tro, migliaia di mani­fe­stanti sono riu­sciti a rag­giun­gere a piedi i due con­cen­tra­menti, uno a Besik­tas e l’altro davanti alla sede della Disk, nel quar­tiere di Sisli da dove è par­tita la mani­fe­sta­zione diretta a Tak­sim. Con in testa lo spez­zone degli ope­rai delle fab­bri­che occu­pate Kazova, Greif e Fenis, seguito dagli stri­scioni dei sin­da­cati, dei par­titi della sini­stra turca, del pro-curdo Par­tito demo­cra­tico dei popoli (Hdp) e le ban­diere arco­ba­leno del movi­mento Lgbt, da quest’estate in prima fila in tutte la mani­fe­sta­zioni con­tro il governo, il cor­teo si è spinto fino a via Hala­skar­gazi, una delle prin­ci­pali arte­rie della città, sbar­rata da un impo­nente cor­done di almeno 200 agenti.

Appena i mani­fe­stanti — al grido di «que­sto è solo l’inizio, la lotta con­ti­nua», sto­rico slo­gan del movi­mento per la difesa del parco Gezi — si sono avvi­ci­nati alla poli­zia è par­tita la prima vio­lenta carica. Una piog­gia di lacri­mo­geni e getti d’acqua urti­cante lan­ciati dai blin­dati che hanno spinto i mani­fe­stanti nelle vie late­rali dove sono par­titi scon­tri pro­se­guiti fino al tardo pome­rig­gio, non solo a Sisli, ma anche nei quar­tieri di Beski­tas e Okmey­dani oltre che a piazza Kiz­lay ad Ankara e nel cen­tro di Izmir. 50 feriti da pro­iet­tili di gomma e lacri­mo­geni spa­rati ad altezza uomo, 266 arre­sti, que­sto il duro bilan­cio degli scon­tri dif­fuso dall’Associazione dei giu­ri­sti pro­gres­si­sti (Chd) che aveva isti­tuito un tavolo di crisi per moni­to­rare even­tuali vio­la­zioni da parte della poli­zia a Istan­bul. Epi­sodi di vio­lenza che non hanno rispar­miato la stampa. 12 gior­na­li­sti sono rima­sti feriti e uno fer­mato ha denun­ciato oggi l’Ordine dei gior­na­li­sti turco (Tgc).

«Biso­gna che smet­tano di fare i capricci– aveva detto Erdo­gan — la gente non vuole vedere imma­gini di scon­tri per le strade e con la poli­zia. È ora che alcuni sin­da­cati e orga­niz­za­zioni della società civile impa­rino a con­fron­tarsi in modo demo­cra­tico. Gli spazi per fare comizi a mani­fe­sta­zioni nel nostro paese e a Istan­bul sono noti». Un invito che Disk e Kesk hanno rispe­dito al mit­tente visto l’importante valore sim­bo­lico che piazza Tak­sim ha per il movi­mento ope­raio turco. Il 1 mag­gio 1977, durante le cele­bra­zioni della festa del lavoro, infatti, 34 mani­fe­stanti per­sero la vita quando pro­prio in piazza Tak­sim, cec­chini mai iden­ti­fi­cati, apri­rono il fuoco dal tetto di un hotel con­tro i lavo­ra­tori facendo un massacro.

Erano gli anni del Kon­tr­ge­rilla, un gruppo para­mi­li­tare che in col­la­bo­ra­zione con lo stato turco e la Cia, con­du­ceva una guerra sporca fatta di omi­cidi extra-giudiziali e rapi­menti con­tro mili­tanti mar­xi­sti e sin­da­cati per creare un clima favo­re­vole al colpo di stato mili­tare del 1980, il più san­gui­noso nella sto­ria del Paese.
I lavo­ra­tori sono scesi in piazza non solo per ricor­dare, quello che in Tur­chia tutti cono­scono come il «primo mag­gio di san­gue», ma anche per chie­dere mag­giori diritti in un paese dove, in linea con l’approccio ultra-liberista del governo Erdo­gan, la cre­scita eco­no­mica non ha por­tato con sé un miglio­ra­mento delle con­di­zioni di lavoro. Il sala­rio minimo, poco più di 1000 lire tur­che (300 euro circa) è molto al di sotto delle costo della vita, le morti sul lavoro un pro­blema ende­mico, iscri­versi a un sin­da­cato ha spesso come con­se­guenza diretta il licen­zia­mento e esi­stono «liste nere» di per­sone sin­da­ca­liz­zate redatte dalle aziende che non ven­gono più assunte nel caso cer­chino un altro lavoro.

Anche se quest’anno i divieti e la vio­lenza della poli­zia non hanno per­messo ai lavo­ra­tori di mani­fe­stare nel cen­tro della città i sin­da­cati sono deter­mi­nati a cele­brare la festa del lavoro in piazza Tak­sim l’anno pros­simo. «Pre­sen­te­remo denun­cia per quanto acca­duto in tri­bu­nale e ci appel­le­remo alla Corte euro­pea per i diritti dell’uomo per­ché il nostro diritto a mani­fe­stare venga applicato».


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