La Cina sorpassa gli Stati uniti

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Secondo i dati pub­bli­cati ieri dal Finan­cial Times, sulla base delle stime dell’Inter­na­tio­nal Com­pa­ri­son Pro­gram della Banca Mon­diale, già nel 2014 potrebbe avve­nire il sor­passo dell’economia cinese su quella ame­ri­cana. La Cina diven­te­rebbe così con 5 anni di anti­cipo (il supe­ra­mento degli Sta­tes ere pre­vi­sto nel 2019) la prima potenza eco­no­mica mon­diale. Secondo lo stu­dio (che non veniva aggior­nato dal 2005) il risul­tato sarebbe basato sul costo della vita reale, ovvero sul cal­colo del potere d’acquisto (pur­cha­sing power parity); nel 2011 il Pro­dotto interno lordo cinese sarebbe stato pari all’87% di quello ame­ri­cano: nel 2011 quindi «gli Stati uniti resta­vano la prima eco­no­mia al mondo, seguita da vicino dalla Cina», hanno scritto i relatori.

Quest’anno potrebbe arri­vare il sor­passo, com­plice la crisi dell’economia occi­den­tale e il ritmo di Pechino, asse­stato intorno al 7,5 per­cento. L’India si afferma come terza eco­no­mia al mondo e nella clas­si­fica dei primi dodici paesi, ci sono anche Rus­sia, Bra­sile, Indo­ne­sia e Messico.

Il rap­porto sot­to­li­nea inol­tre come l’economia mon­diale stia virando verso una mag­giore ugua­glianza, ma in realtà i dati dimo­strano come i paesi più ric­chi al mondo con­ti­nuino a rap­pre­sen­tare il 50% del Pil mon­diale nono­stante abbiano solo il 17% della popo­la­zione glo­bale. Il sor­passo cinese era già stato annun­ciato, era atteso e non sor­prende, ma di sicuro ha un impatto imma­gi­ni­fico non da poco. Gli Stati uniti erano la prima potenza eco­no­mica al mondo dal 1872, quando supe­ra­rono l’impero britannico.

Da occi­dente il capi­tale ha finito per accu­mu­larsi a Oriente, per­met­tendo alla Cina una cre­scita da record, con cen­ti­naia di milioni di per­sone che hanno supe­rato la soglia di povertà aumen­tando – e non di poco – il pro­prio stan­dard di vita. Su que­sto annun­cio, però, sono neces­sa­rie alcuni ragio­na­menti, spe­ci­fi­cando che al riguardo la Cina ha tenuto un atteg­gia­mento di basso profilo.

In ambito inter­na­zio­nale Pechino si rac­conta ancora come «paese in via di svi­luppo» anche per usu­fruire di una serie di age­vo­la­zione (in pri­mis di natura ambien­tale). C’è poi una que­stione di natura pura­mente comu­ni­ca­tiva e media­tica. Ora che il sor­passo eco­no­mico è avve­nuto (o sta per avve­nire) è lecito atten­dersi una mag­gior atten­zione e ana­lisi in pro­fon­dità di quanto accade nella società cinese, quanto meno alla stessa stre­gua delle ana­lisi pro­po­ste sulle società ame­ri­cana. Sarebbe il momento di abban­do­nare euro­cen­tri­smo e orien­ta­li­smi, dedi­can­dosi ad ana­liz­zare un pro­cesso sto­rico che potrebbe non limi­tarsi solo alla sfera economica.

E con que­sto arri­viamo ad un secondo punto. A Pechino lo sanno bene: il pri­mato eco­no­mico non signi­fica un aumento imme­diato dell’influenza poli­tica e cul­tu­rale sul resto del mondo. A que­sto pro­po­sito la Cina è ancora indie­tro, in ter­mini di pro­du­zione cul­tu­rale, di imma­gi­nari capaci di rita­gliarle un posto di rilievo negli scac­chieri geo­po­li­tici mondiali.

Pechino arriva ovun­que con i soldi, ma que­sto non signi­fica auto­re­vo­lezza e rispetto da parte del resto del mondo in con­tese inter­na­zio­nali o diplo­ma­ti­che. I lea­der del Par­tito cono­scono bene que­ste dina­mi­che e stanno spin­gendo per pro­cessi capaci di dare vita ad un’economia cul­tu­rale capace di spri­gio­nare un vero e pro­prio soft power. Que­sto signi­fica, anche rispetto al mondo attra­verso il quale viene comu­ni­cata la Cina, che il paese è sot­to­po­sto ad un dibat­tito cul­tu­rale, poli­tico, anche sulle forme di gover­nance, molto più vivo di quanto appaia dalle cro­na­che gior­na­li­sti­che e molto più intenso di quanto accade dalle nostre parti, dove l’attuale modello poli­tico demo­cra­tico non viene posto in discus­sione. Il fatto che oggi la prima potenza eco­no­mica del mondo non sia una demo­cra­zia, dovrebbe con­tri­buire a dibat­tere sulle attuali forme che assume il capi­ta­li­smo, lad­dove crea un minimo di ric­chezza distri­buita e tanto profitto.

La cre­scita cinese, per altro, è in fase di ral­len­ta­mento; que­sto induce ad un’altra con­si­de­ra­zione. Otte­nuto il pri­mato mon­diale, il Par­tito comu­ni­sta sta fati­co­sa­mente cer­cando di tro­vare una qua­dra ai tanti dilemmi che il pro­gresso a velo­cità della luce hanno por­tato nella società cinese. Inqui­na­mento, classe media che comin­cia a richie­dere diritti civili, lavo­ra­tori che pro­te­stano per aumenti sala­riali e wel­fare. Il futuro della Cina è in que­sti ragio­na­menti: tra­sfor­mare la quan­tità in qua­lità, per­met­tere e age­vo­lare una redi­stri­bu­zione della ric­chezza, rifor­mare quei set­tori eco­no­mici che sono nelle mani di ambiti cor­rotti e poco produttivi.



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