La secessione in banca che ammalia il Veneto

La secessione in banca che ammalia il Veneto

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Non capita tutti i giorni che a un’assemblea di banca partecipino 6 mila soci. E non era mai accaduto che alla presenza di tanto popolo dal palco venisse messa sotto accusa nientemeno che la Banca d’Italia. Se poi quelle invettive vengono di fatto sottoscritte da tutti i più quotati politici locali a iniziare dal governatore della Regione (Luca Zaia) siamodi fronte a un caso di cui è difficile rintracciare un precedente. Stiamo parlando di Veneto Banca e del meeting che si è tenuto solo sabato scorso a Venegazzù di Volpago del Montello,in provincia di Treviso.
Ma stiamo anche raccontando di una contrapposizione feroce tra un pezzo di Veneto e la mitica Via Nazionale, accusata non di voler vendere la banca ai cinesi o alla Goldman Sachs ma di spingere per aggregare i trevigiani alla Popolare di Vicenza presieduta da Gianni Zonin. Vista da Roma può sembrare anche solo una lotta di campanile, letta dal territorio è una storia nella quale si intrecciano la forza di un gruppo dirigente, l’ex presidente Flavio Trinca e l’ex amministratore delegato Vincenzo Consoli, che guida la banca da 17 anni, gli interessi degli imprenditori locali che hanno fidi sia con la banca trevigiana che con la vicentina e temono che da una parte o dall’altra vengano tagliati, una rivalità con Zonin che avrebbe finora condotto una politica delle aggregazioni giudicata spietata con i “vinti”.
Tutti questi elementi non giustificano quella che vista con gli occhi di un banchiere centrale è stata quasi un’aggressione. Non è escluso che le invettive di cui sopra diano anche ampia materia di lavoro agli avvocati, certo è che l’assemblea di Venegazzù non sarà archiviata velocemente. Anche perché le performance delle banche di territorio si sono prestate in troppi casi ai rilievi delle autorità di vigilanza. In tanti casi la banca è finita nelle mani di un padre padrone che ha via via attorno a sé una consorteria. Solo in Veneto? No, è accaduto in Liguria, in un paio di casi nelle Marche, in Umbria e anche in Emilia-Romagna. Certo, di fronte ai grandi gruppi bancari che aggregazione dopo aggregazione diventavano player europei, le banche locali hanno saputo coltivare meglio la relazione con gli imprenditori e in una fase il loro banking vecchio stile è sembrato reggere meglio all’urto della Grande Crisi. Ma alla lunga non è stato così, i conflitti di interesse e i fidi concessi con troppa generosità hanno cominciato a pesare sui bilanci. La Banca d’Italia ha risposto con lo strumento delle ispezioni che nel caso di Veneto Banca sono durate otto mesi e mesi, hanno partorito un primo rapporto durissimo verso la gestione Trinca-Consoli e una lettera che ne chiedeva esplicitamente l’avvicendamento.
Si racconta che sulla banca trevigiana sia aleggiato persino il rischio del commissariamento e finora sia stato evitato anche grazie al cambio della dirigenza che ha visto proprio sabato scorso l’elezione al vertice di un presidente-economista, Francesco Favotto e di un vicepresidente-imprenditore, Alessandro Vardanega, entrambi stimatissimi non solo in Veneto. Ma la partita non è finita perché il passaggio successivo, come si è capito dall’assemblea, consiste nella nomina di Consoli a direttore generale. Con gli stessi poteri e lo stesso mega-stipendio, dicono i maligni. Ma la Banca d’Italia approverà questa soluzione o si opporrà fermamente? Un bookmaker serio punterebbe quasi tutto sull’ipotesi B anche perché il percorso di risanamento della banca è tutto da iniziare, c’è da convertire un bond di 350 milioni, da vendere la controllata Bim e soprattutto da portare a casa un aumento di capitale da 500 milioni ed è difficile operare una virata di queste proporzioni senza la collaborazione della banca centrale. Nel contempo però Via Nazionale dovrà fare attenzione a non eccitare una sorta di “venetismo bancario”.
E’ vero che il governatore Zaia – che pure in una primissima fase aveva benedetto l’unione con Vicenza per creare una nuova grande banca veneta – sotto elezioni cavalca qualsiasi istanza di autonomia e di contrapposizione a Roma ma la Banca d’Italia non può finire nel frullatore delle polemiche localistiche. Non può nemmeno per un momento passare come sponsor di un’altra banca. I trevigiani sono convintissimi che la Popolare di Vicenza venga trattata con i guanti bianchi per la capacità di fare lobby su Roma e citano, in proposito, la vicepresidenza abilmente assegnata ad Andrea Monorchio, ragioniere generale dello Stato per 13 anni e influente grand commis di Stato. Ma a star dietro alle dietrologie di provincia non si finisce più e la banca diventa un bar.
Dario Di Vico


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