Traghetto, si dimette il premier sudcoreano

Traghetto, si dimette il premier sudcoreano

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Quello del traghetto Sewol sta diventando il naufragio di un intero Paese. La Corea del Sud è in lutto, sconvolta, non riesce a scrollarsi di dosso il senso di colpa, collettivamente. È come se 48 milioni di persone non potessero perdonarsi di non aver fatto abbastanza per salvare le 476 persone a bordo della nave quel 16 aprile, quasi tutti studenti.

Il vicepreside della liceo che aveva portato i ragazzi in gita non ha retto e si è impiccato. Ieri ha posto fine alla sua carriera politica il premier Chung Hong-won. Si è assunto la responsabilità al massimo livello, anche per le polemiche sui ritardi nei soccorsi, e le falle nella sicurezza. «La cosa giusta per me da fare ora è quella di farmi carico della responsabilità dell’accaduto e dare le dimissioni – ha detto Chung in una breve apparizione televisiva -. Voglio cogliere l’occasione per porgere le mie scuse, a nome di tutto il governo, per i tanti problemi che si sono presentati, dalla prevenzione dell’incidente al modo in cui il disastro è stato affrontato».

Un discorso contrito, pronunciato con le lacrime agli occhi, e che mostra come la Corea stia piangendo anche, ogni giorno di più, per un malessere profondo, che sta mettendo in discussione il senso d’identità del Paese. «Ci sono state tante irregolarità, in ogni angolo della nostra società – ha notato Chung -. La mia speranza è che questi mali così profondi possano essere corretti una volta per tutte, e che questo tipo di incidenti non si ripeta mai più».

Intanto i sommozzatori sono ancora alla ricerca dei dispersi. Negli ultimi giorni il numero dei morti accertati è salito a 187 (superando quello dei superstiti, 179), compresi i cadaveri di 48 ragazzini che sono stati ritrovati chiusi in una delle stanze della nave, tutti con indosso i giubbotti salvagente. Quindici membri dell’equipaggio sono stati arrestati per negligenza e omicidio colposo. Il presidente della società armatrice, Kim Han-sik, si è scusato davanti ai parenti delle vittime, a stento sostenuto da altri due uomini, dicendo che i dirigenti hanno commesso «peccati gravissimi». È il rimorso per quell’ordine, dato dagli ufficiali della nave, di «restare nelle cabine», quando era già chiaro che il traghetto stava affondando. Un ordine a cui la maggior parte dei ragazzini, educati al rispetto a oltranza per i superiori, non ha voluto disobbedire.
ILARIA MARIA SALA


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