Ucraina, 13 osservatori nelle mani dei filorussi

Ucraina, 13 osservatori nelle mani dei filorussi

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MOSCA — Ancora incidenti e scontri nell’ Ucraina dell’Est mentre Stati Uniti ed Europa si apprestano a varare nuove sanzioni nei confronti della Russia che accusano di non voler disarmare le milizie indipendentiste e di fomentare il caos. Naturalmente Mosca respinge tutto ciò, sostenendo che è il governo di Kiev a mandare l’esercito contro cittadini inermi in quella parte del Paese. Lo stesso governo che invece tollera i nazionalisti i quali nella capitale occupano edifici pubblici, si proteggono con barricate e lo tengono quasi in ostaggio. «Kiev è in mano ai nazisti nazionalisti», tuonano i media russi per spiegare la paura degli abitanti russofoni dell’Est.
Per la Russia l’avventura ucraina diventa anche sempre più costosa, visto che ieri la Banca centrale ha dovuto nuovamente aumentare il tasso di sconto (di mezzo punto, portandolo al 7,5%) e una agenzia di rating, Standard e Poor’s, ha abbassato il giudizio sul debito del Paese portandolo un gradino sopra lo status di «spazzatura».
Incidenti si sono verificati in varie città; da Odessa, dove un posto di blocco nazionalista è stato attaccato con il lancio di una granata che ha ferito sette persone, a Sloviansk. Qui i separatisti hanno bloccato un autobus con osservatori militari europei che viaggiavano con l’Osce e li hanno sequestrati, accusandoli di nascondere tra loro una «spia» del governo di Kiev: sarebbero 13, quattro di loro tedeschi, secondo la ministra della Difesa di Berlino. In un’altra occasione un elicottero governativo è stato colpito con un lanciagranate e incendiato. Il pilota sarebbe rimasto leggermente ferito. Secondo il Pentagono, caccia russi hanno violato lo spazio aereo dell’Ucraina in diverse occasioni nelle ultime 24 ore.
Le milizie filorusse non smobilitano e Mosca afferma che lo faranno solamente se il governo sgombrerà Kiev. Così la situazione diventa sempre più tesa, anche perché i nazionalisti e soprattutto i militanti del partito di estrema destra si muovono verso Est. Il leader di Pravyj Sektor ha ordinato di spostare il quartier generale a Dnipropetrovsk, dove già i nazionalisti hanno istituito posti di blocco. Dmitrò Yarosh ha fatto sapere che arriva nella città per creare un battaglione di 800 miliziani armati.
Così ieri Barack Obama ha chiamato al telefono quattro leader europei, Cameron, Hollande, Merkel e Renzi per concordare nuove sanzioni (la «linea rossa» con Mosca invece è interrotta: Putin non ne vuole più sapere di parlare direttamente con il presidente Usa). «La finestra per rimettere le cose in carreggiata si sta chiudendo rapidamente», ha ammonito il segretario di Stato John Kerry. Restrizioni ai movimenti di capitale e ad altri personaggi nel gruppo di Vladimir Putin potrebbero certo avere effetti sull’economia russa. La Casa Bianca pensa anche al settore petrolifero che per lo sviluppo dipende fortemente dai partner stranieri come Bp, Shell, ExxonMobil, Eni e la norvegese Statoil. Ieri il ministro delle Risorse naturali Sergey Donskoy ha ammonito le aziende internazionali: «Chi se ne va dalla Russia poi non potrà tornare nel prossimo futuro». Ma è chiaro che in caso di decisioni governative le singole aziende avrebbero ben poca voce in capitolo.
Vladimir Putin ha riconosciuto che le sanzioni «stanno causando danni» all’economia russa. Con capitali in fuga (nei primi quattro mesi quanto in tutto il 2013) e costo dell’indebitamento per le aziende che sale. Ma Mosca ricorre, in realtà, abbastanza poco ai mercati finanziari internazionali e può contare su un fondo strategico (utili dall’export di idrocarburi) di 480 miliardi di dollari. Per ridurre la dipendenza dalle carte di credito internazionali che in parte sono state bloccate, ha avviato la creazione di una carta russa per le transazioni interne. Il consigliere economico del presidente, Sergej Glazyev, ha proposto una serie di contromisure che imporrebbero al Paese una specie di economia di guerra: ritirare tutti i quattrini investiti nei Paesi Nato, vendere anticipatamente le obbligazioni in dollari ed euro, limitare gli asset in valuta delle banche private, convincere la popolazione (che normalmente non si fida del rublo) a non tenere i risparmi in valuta. «Peggio delle sanzioni occidentali», ha commentato su Twitter l’ex ministro delle Finanze Aleksej Kudrin.
Fabrizio Dragosei



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