“ Parigi complice del genocidio ”

“ Parigi complice del genocidio ”

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PARIGI – Non uno ma tanti segreti. Un mistero lungo vent’anni che continua a perseguitare l’immagine della Francia, proprio in un momento in cui Parigi cerca di tornare protagonista in Africa. «In questi Paesi un genocidio non è troppo importante». Non si sa se François Mitterrand abbia davvero pronunciato questa frase, riportata dal giornalista e scrittore americano Philip Gourevitch, quando iniziò nell’aprile 1994 il genocidio dei Tutsi in Ruanda. Di sicuro, però, gli archivi di Stato custodiscono molte delle risposte alle troppe domande che ancora ci sono sul ruolo dell’esercito francese e sull’amicizia dell’Eliseo con l’allora regime hutu.
Il presidente del Ruanda, Paul Kagame, si è di nuovo scagliato, senza nominarla, contro la Francia. «Nessun Paese è così potente da poter cambiare i fatti» ha detto nel giorno del ventennale dell’eccidio, per poi aggiungere in francese: «Dopo tutto, i fatti sono cocciuti». L’ambasciatore a Kigali, Michel Flesch, è stato definito “persona non grata” alle celebrazioni, provocando un
nuovo incidente diplomatico. «Accuse indegne e ingiuste» ha commentato ieri il nuovo premier Manuel Valls, parlando all’Assemblée Nationale.
Una dichiarazione che liquida i tanti punti ancora da chiarire sull’ultimo genocidio del Novecento: 800mila vittime in poco più di cento giorni. Quando è stato avvertito il governo di Parigi dei massacri che si stavano preparando? Quando ha finalmente interrotto il rifornimento di armi al regime Hutu? Ci sono state complicità o solo omissioni da parte del comando francese della missione Onu “Turquoise”?
E infine: quale è stato il ruolo dei servizi segreti e chi ha organizzato l’abbattimento del Falcon su cui viaggiava il presidente Juvénal Habyarimana il 6 aprile 1994, episodio che ha poi dato inizio alla guerra civile?
Su quest’ultima domanda ci sarà forse una risposta della magistratura francese che, dopo un lungo lavoro di ricostruzione, dovrebbe emettere una sentenza prima dell’estate. Un primo passo verso la verità. Non certo sufficiente. «È tempo di aprire gli archivi di Stato per fare entrare il genocidio del Ruanda nella Storia »scrive Le Mondein primapagina. Molti ricordano che Parigi appoggiò già dai primi anni Novanta il regime di Habyarimana, foraggiando e addestrando il suo esercito contro il Fronte patriottico. Arrivato al potere, Kagame
ha sempre parlato di connivenza e complicità, accusando in particolare la Francia, che nel ‘94 sotto l’egida dell’Onu aveva 2.500 soldati, e il Belgio, ex potenza coloniale che aveva mal digerito l’indipendenza ottenuta dal piccolo Paese africano nel 1961.
Alcuni cablogrammi dimostrano che il ministero degli Esteri e l’Eliseo sapevano della pulizia etnica in corso. Dopo l’inizio dei massacri, Mitterrand è stato l’unico leader occidentale a ricevere il governo provvisorio Hutu che stava conducendo i massacri. Ci sono prove della vendita di armi da parte di alcuni mercanti collegati a Parigi. E quando comincia l’operazione “Turquoise”, a partire dal giugno ‘94, molte testimonianze ricordano che i militari francesi non hanno impedito lo sterminio dei Tutsi, in nome di una presunta “neutralità”. Anzi, secondo quanto rivela Guillaume Ancel, la missione «non era umanitaria ma militare». «Dovevamo aiutare il regime Hutu a riconquistare il paese» racconta Ancel che aveva 28 anni quando arrivò in Ruanda per partecipare all’operazione Turquoise e ora pubblica un libro su questa oscura pagina di storia.
Il presidente ruandese rilancia le accuse mentre è a sua volta sospettato di aver ordinato l’uccisione di oppositori politici in esilio e di fomentare la pulizia etnica in Congo. Kagame cita un rapporto del 2008, presentato dal ministero della Giustizia ruandese, che documenta il ruolo, tra gli altri, di Mitterrand, dell’ex premier Edouard Balladur, del ministro degli Esteri Alain Juppé e del direttore del suo gabinetto Dominique de Villepin. Ancora una volta, la classe politica francese fa muro contro le gravi insinuazioni. Nel 1998 una commissione parlamentare aveva riconosciuto solo «errori di valutazione ». Con il tempo, il silenzio ufficiale diventa insostenibile. E nonostante le strumentalizzazioni politiche di Kagame, le domande che attendono risposta sono sempre più pressanti.


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