Atene piegata dalla recessione “Europa per noi vuol dire crisi”
Atene è la finestra sulle paure dell’Europa, demagogia, nazionalismo centrifugo, nostalgie neofasciste. Tra i negozi vuoti e i caffè pieni circola un’energia primordiale in cui la rabbia si perde nella rassegnazione a godere del poco che resta, come fumare all’interno dei locali, estremo ribellismo contro i veti comunitari. Se c’è un paese in cui l’immagine di Bruxelles arriva così distorta da far paura ai bimbi che, racconta la maestra Panagiota Vasileiadi, ne parlano come dell’anti Babbo Natale, è la Grecia, dove la combinazione tra recessione e austerity è stata uno tsunami, con il salario medio precipitato a 600 euro, la disoccupazione giovanile vicina al 60%, un Parlamento che ospita Alba Dorata, «l’unico partito nazista in un’assemblea elettiva europea» scrive nel suo libro Dimitri Deliolanes.
Mentre l’Eurogruppo sblocca nuovi aiuti e il paese finanziario torna sui mercati, quello reale, che non vedrà presto gli effetti della eventuale ripresa, s’interroga sull’identità di una generazione per cui, in barba all’Erasmus, Europa è associata automaticamente alla crisi.
«Lavoriamo per i vampiri» dice l’attore 29enne Alex Tsotsis che gestisce la taverna Zoodohos Pigi nel quartiere di Kaminia dove, racconta, «si vedono persone ben vestite girare nel mercato per rubare le arance». I media filo-governativi non ne parlano, gli ateniesi sì. «Non vedo più tg» ammette la studentessa Melponemi Tsitsimpi. Nella libreria Elefterutakis chi può spendere sceglie i romanzi d’evasione della Fakinu,
«La relazione tra Grecia ed Europa è iniziata su basi superficiali tipo i bassi tassi d’interesse, un approccio utilitaristico svanito con la crisi» nota Konstantinos Ifantis, docente di relazioni internazionali all’Università di Atene. I suoi studenti, molti dei quali voteranno per la prima volta a maggio, lamentano di pagare le colpe dei padri che per trent’anni, dividendosi tra i due partiti del bipolarismo nato dopo la dittatura, hanno partecipato alla nuova orgia del potere.
«Nessuno ci ha imposto di indebitarci, ora però dobbiamo decidere se sopravvivere fuori dall’euro o vivere» ragiona l’informatico 24enne Stefanos Antypas. Gli amici al Floral Caffè, nel quartiere anarchico di Exarchia, sono scettici. Tasos Kampouris, laurea in business, sintetizza: «L’Europa è tante cose belle come viaggiare, ma la Grecia muore. Se avessimo un governo vero staremmo meglio fuori anche perchè siamo europei ma anche balcanici».
Così vicini, così lontani. «Per creare un’identità europea ci vorrebbe l’Erasmus obbligatorio perché solo i greci che partono si staccano davvero dal legame con una terra di sole, feste, lavoro non durissimo» nota la scrittrice e docente di legge Lena Divani (ha pubblicato «Memorie di un gatto» con e/o).
«Ho paura di andarmene, l’Europa del Nord è diversa», ammette l’ingegnere Eleni Letsioce che in un Paese con 11 milioni di abitanti e 24 università (più 14 politecnici) fa la commessa nel quartiere borghese di Kolonaki. Agli antipodi da lei la disoccupata Katerina Stavroula, anima della web radio antagonista RadioBubble, conferma: «Posso lavorare a Londra, certo. Ma è una necessità. Io sceglierei di restare qui».
Qui significa Grecia. A metà tra l’Occidente e quell’Oriente a cui tende il governo trattando investimenti russi e cinesi. Lo sanno bene gli immigrati che sognano Lamerica e si ritrovano bloccati nella pancia della crisi dagli accordi di Dublino II. Sono loro la «scusa» di Alba Dorata che spadroneggia nel quartiere di Agios Panteleimonas dove il 20% della popolazione è straniera e le famiglie assaltano i supermercati con il cibo scaduto in offerta. «Alba Dorata è un voto di protesta» dice la sociologa 21enne Vasiliki Meletaki. Lei invece, come molti suoi compagni, è delusa dai partiti tradizionali, confusa, offesa con l’Europa che «ci dipinge pigri»: andrà alle urne ma assai meno baldanzosa degli estremisti della destra (Alba Dorata è al 7,6%).
«I giovani sono disgustati dalla politica» riflette l’autore della Trilogia della Crisi Petros Markaris. Il quasi coetaneo John Panaretos, docente di statistica ed ex del governo Papandreou (i socialisti sono al 4,5%), fa mea culpa: «La mia generazione ha creato il problema ma non ne capisce l’effetto, per quanto valgano questi ragazzi non dispondono del loro futuro».
Il risultato è un arcano. La sinistra radicale di Syriza è in testa ai sondaggi. «Anche se la gente ce l’ha con Bruxelles sa che da soli faremmo peggio, per questo, diversamente dal 2012, ci battiamo per cambiare l’Europa da dentro» spiega la 28enne di Syriza Irini Agathopoulou. Ma nell’arena in cui sono nate 14 forze politiche in due anni avanza To Potami, il partito dell’ex reporter Theodorakis che in un mese di vita è già al quarto posto.
«Non saremo più fideistici verso i partiti come i nostri genitori» dice il 38enne Sotiris Bekas. Il ricordo della dracma seduce. Ma Dimitri Sotiropoulos della Hellenic Foundation for European and Foreign Policy minimizza: «Fuori o dentro l’Europa è un dibattito retorico, i greci sono come i giovani che contestano la famiglia ma non se ne vanno. È l’effetto della scuola che qui forma le coscienze su forti dicotomie».
La Grecia si sente la Cenerentola d’Europa. Leggerezza e resilienza. Come quando, nel 2009, all’inizio della fine, si scatenava ballando la canzone pop di Adonis Remos «Kommena piata de nica» («Ci hanno tolto il prestito»).
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