Ungheria. L’«Orbanomics» e le facili misure populiste

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Tra lo 0,2 e il 3% c’è una dif­fe­renza molto grande. La prima è la stima trac­ciata lo scorso autunno dal Fondo mone­ta­rio inter­na­zio­nale sulla cre­scita dell’ Unghe­ria nel 2013. La seconda su cui il Pil magiaro s’è real­mente atte­stato negli scorsi dodici mesi. Il primo mini­stro Vik­tor Orban non poteva chie­dere di meglio, ai numeri. Que­sto scarto ha una valenza elet­to­rale molto impor­tante. Potrebbe for­nire la mar­cia in più alla Fidesz, il par­tito di Orban. Sem­pre che ce ne sia biso­gno, dato che le rile­va­zioni con­dotte di recente lo danno lar­ga­mente trion­fa­tore di que­sta tor­nata. Alcuni ana­li­sti pre­di­cono per­sino un nuovo sfon­da­mento della soglia dei due terzi dei seggi parlamentari.

L’accelerata del Pil, a Buda­pest, dipende da tanti fat­tori. Uno è la ripresa dell’attività mani­fat­tu­riera dei grandi gruppi indu­striali pre­senti nel paese. L’economia unghe­rese è for­te­mente dipen­dente dalla pro­du­zione di que­ste aziende e dall’export che rea­liz­zano, pari a oltre il 70% del Pil. È andato molto bene anche il set­tore agri­colo, su cui il governo punta molto. Ci scom­mette anche San­dor Csany, il finan­ziere che con­trolla la mag­gio­ranza delle quote di Otp Bank, il prin­ci­pale isti­tuto del paese. Qual­che mese fa ha ceduto una fetta non pro­prio pic­cola del suo pac­chetto e ha inve­stito nel pri­ma­rio. Gli ana­li­sti, sulla base della pre­sta­zione scat­tante del 2013, stanno alzando le stime sul Pil di quest’anno e del 2015. In entrambi i casi dovrebbe supe­rare il 2%. Stan­dard & Poor’s, intanto, ha alzato l’outlook da nega­tivo a sta­bile: un’altra nota posi­tiva. L’elemento deci­sivo del galoppo magiaro è stata in ogni caso la poli­tica di tagli sui tassi pra­ti­cata dalla Banca cen­trale. Una serie con­ti­nua di sfor­bi­ciate che li ha por­tati dal 7% dell’agosto del 2012 all’attuale 2,6%, il minimo sto­rico. L’obiettivo è stato quello di tenere su i con­sumi e la fidu­cia, schiaf­feg­giati dalla crisi globale.

La Banca cen­trale è il perno prin­ci­pale della Orba­no­mics, che ha nello sta­ta­li­smo la parola più rile­vante del les­sico eco­no­mico di que­sto governo. Orban, in que­sti quat­tro anni al potere, non ha esi­tato a met­tere lo stato al cen­tro dell’economia. Ha riac­qui­stato alcuni asset nel set­tore ener­ge­tico (i tede­schi stanno riti­ran­dosi par­zial­mente dall’Europa cen­trale), ha fatto qual­che movi­mento nel ban­ca­rio e squa­der­nato qual­che tassa in più – anche abba­stanza salata – nei con­fronti del capi­tale estero. Orban pensa che la tran­si­zione al libero mer­cato sia stata troppo fret­to­losa e che il paese abbia aperto le porte agli inve­sti­tori stra­nieri con la sola filo­so­fia di fare cassa. La sua idea è ridurre il peso di que­sti stessi inve­sti­tori – ben­ché Orban non disde­gni affatto i flussi di denaro che arri­vano a Buda­pest e din­torni – e ampliare il mar­gine di mano­vra dello stato e della classe capi­ta­li­stica e bor­ghese dell’Ungheria.

Tutto que­sto si lega al rifiuto della ricetta austera pro­pu­gnata da Bru­xel­les e dal Fmi. L’Ungheria, scop­piata la crisi del 2008, era ricorsa a pre­stiti di quest’ultimo. Orban non li ha rine­go­ziati e ha lubri­fi­cato la mac­china del con­senso con qual­che misura pater­na­li­sta a soste­gno della popo­la­zione (nei mesi scorsi sono state tagliate del 20% le bol­lette elet­tri­che) e un po’ di grinta sulle opere pub­bli­che. Pro­prio alla vigi­lia di que­sto voto Orban ha inau­gu­rato la quarta linea del metrò di Buda­pest. Messa così, sem­bre­rebbe che Orba­no­mics sia un grosso suc­cesso. Non è pro­prio così.

Ci sono dei punti sci­vo­losi. La baracca è ancora fra­gile e la poli­tica del taglio dei tassi ripe­tuto non solo ha aiu­tato a coprire le crepe, ma secondo molti non è più soste­ni­bile. La poli­tica di ridu­zione degli sti­moli della Fed all’economia ame­ri­cana ha affos­sato il fio­rino, il cui valore è sceso non di poco. Avanti di que­sto passo la Banca cen­trale dovrà neces­sa­ria­mente cal­marsi sui tassi. Ma se ne par­lerà dopo il voto, ovvia­mente. Prima, invece, Orban ha fatto qual­che pro­messa. Una riguarda i divi­dendi dei pro­fitti delle imprese pub­bli­che: ver­ranno ridi­stri­buiti, ha annun­ciato il governo. L’altra cosa riguarda i mutui con­tratti in valuta estera. Parec­chia gente c’ha rimesso. Orban afferma che le cose dovranno cam­biare, logi­ca­mente a favore di pro­prie­tari di case e imprenditori.


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