Stefano Rodotà: «Non mi farò schiacciare»
«In confronto all’Italicum, la legge truffa del 1953 è un modello di garanzie. La riforma del Senato provocherà pasticci infiniti». «Letta mi invitò a Palazzo Chigi dopo la manifestazione della “Via maestra” da cui nacque la proposta del referendum confermativo sull’articolo 138»
«Sono uno di quei “professori” che blocca da trent’anni le riforme costituzionali? — sorride Stefano Rodotà dopo avere appreso il giudizio del ministro per le riforme costituzionali Maria Elena Boschi – Credo che la ministra mi attribuisca una sensazione di onnipotenza che non corrisponde alla realtà dei fatti. Mi sembra inverosimile il fatto che i «professori», da soli, siano riusciti a bloccare le riforme di Craxi, Cossiga, Berlusconi o D’Alema. Chiunque abbia una minima nozione di storia sa che le riforme della bicamerale furono fatte cadere da Berlusconi. E quando quest’ultimo fece la sua riforma, fu respinto da 16 milioni di italiani con un referendum. Mi piacerebbe molto avere avuto la possibilità di esercitare un potere così radicale, ma questo non corrisponde allo stato dei fatti e dimostra che una politica incapace di effettuare riforme oggi cerca di rifugiarsi in questi argomenti».
Anche la ministra Boschi sostiene che lei nel 1985 ha proposto una riforma del Senato. Ha cambiato idea?
A parte il fatto che non c’è nulla di male nel cambiare idea, ma questo riferimento è del tutto inappropriato perché Renzi e Boschi dovrebbero sapere – e purtroppo non lo sanno – che la proposta presentata 29 anni fa dalla Sinistra Indipendente, con me Gianni Ferrara e Franco Bassanini, andava in senso opposto alla loro. Allora ci opponevamo al tentativo di Craxi di concentrare i poteri del governo, esattamente come vuole fare oggi Renzi.
In cosa consisteva quella riforma?
Intendeva rafforzare il parlamento e i diritti e aveva uno spirito che si ritrova nella sentenza della Corte Costituzionale sul «Porcellum» che non garantisce la rappresentanza. Avanzammo quella proposta quando c’era una legge elettorale proporzionale, i deputati venivano scelti con il voto di preferenza, i regolamenti riconoscevano un potere alle minoranze parlamentari, non c’erano ghigliottine né limiti agli emendamenti. L’ostruzionismo della sinistra indipendente fece cadere il decreto Craxi sulla scala mobile, da quell’esperienza nacque anche la commissione d’inchiesta sulla P2. In quel clima si voleva concentrare il massimo potere in una sola camera, rafforzandolo però con la sua massima rappresentanza. Proponevamo di ridurre a 500 i parlamentari, ma per avere un contraltare al governo. Cosa che invece Renzi non vuole con l’Italicum. Renzi e Boschi non sanno di cosa parlano. Denotano ignoranza istituzionale. È un fatto grave, oltre che moralmente una cattiva azione.
Il governo, e non solo, sostiene che la sua proposta sul Senato permetterà di risparmiare 1 miliardo di euro ai cittadini. Sembra una proposta allettante.
La trovo una concessione all’antipolitica. Si tratta di un argomento che può portare in qualsiasi direzione. Più che alla logica, risponde alla peggiore ricerca del consenso. Basterebbe la riduzione dei parlamentari e delle retribuzioni per ottenere questo risparmio senza rovinare gli equilibri costituzionali.
Ritiene che i renziani stiano reagendo all’appello che lei ha firmato insieme a Gustavo Zagrebelsky e altri giuristi contro la «svolta autoritaria» del governo?
Abbiamo ritenuto di introdurre con determinazione queste argomentazioni nel dibattito pubblico. Ma non ci viene data risposta e si attaccano le persone. Ancora in tempi recenti ci sono state un’infinità di proposte da parte dei «professori» a dimostrazione che sono del tutto alieni dal difendere o dal conservare. Su Il Manifesto c’è stata la proposta di Villone o di Azzariti, ad esempio. Vorrei anche ricordare che avevamo indicato una soluzione con la manifestazione della «Via Maestra» nell’ottobre 2013. Sull’articolo 138 e la modifica voluta dal governo Letta, abbiamo proposto di modificare il numero dei parlamentari e riformare il Senato, ma in un modo assai lontano dalla proposta attuale. Chiedevamo al governo Letta di iniziare subito. Se fosse stato seguito questo consiglio avremmo già una riduzione dei parlamentari e un Senato come camera delle garanzie che è assolutamente necessaria.
Cosa le rispose Letta?
Mi invitò a Palazzo Chigi, ne parlammo. Il risultato di quella conversazione fu il referendum confermativo sulle proposte di riforma. Per quanto criticabile fosse Letta, non aveva la posizione di chi procede come un rullo compressore. Io non mi voglio fare schiacciare e per questo alzo la voce.
Da quello che dice ci troviamo in una situazione peggiore della «legge truffa» proposta da Scelba nel 1953…
Rispetto all’Italicum, non la si dovrebbe più chiamare in questo modo. Anzi, quella era un modello di garanzia. Pensi che per contrastarla si usava l’argomento che non si poteva mettere nelle mani di maggioranze costruite artificialmente il destino delle istituzioni. Aggiungo, a beneficio di chi ci insulta, che quella legge non passò perchè alcuni professori come Calamandrei, Jemolo, Codignola, Parri, si riunirono nel gruppo «Unità popolare» e insieme ad altri la bloccarono. Oggi, invece, si consegna il destino della democrazia nelle mani di maggioranze costruite artificialmente. Quanto alla riforma del Senato non ha nulla a che vedere con le camere rappresentative delle autonomie locali come in Germania. È più che altro un’esercitazione da studenti che crea pasticci infiniti.
Che peso ha il patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi?
Questo patto è stato una scelta infausta. Viola il programma elettorale sul quale il Pd ha ricevuto milioni di voti.
Ma rispetta le intenzioni di Renzi…
C’è una bella differenza tra un programma elettorale e le primarie di un partito, che sono consultazioni importanti ma sono del tutto private. Quello di Renzi è un altro modo per delegittimare il voto e la volontà dei cittadini. Per legittimare un’impresa così grave è stata fatta un’alleanza con Berlusconi, esclusa dal programma del Pd.
La vostra battaglia è dunque contro le geometrie variabili delle larghe intese?
Non pensavo di essere eletto a presidente della Repubblica, ma quella candidatura era per cercare una maggioranza diversa dalle larghe intese che sarebbero state disastrose. Il fallimento di quelle intese hanno provocato gli esiti attuali e hanno cancellato l’impegno di Renzi sul reddito ai lavoratori o sulle unioni civili.
Dopo gli appelli organizzerete una mobilitazione?
Vediamo. Non corriamo troppo. L’appello era un passo necessario e non saranno gli insulti a fermarci. Le reazioni cominciano ad emergere: ci sono i 22 senatori del Pd che hanno presentato un’eccellente proposta. Non voglio prendermi meriti, ma credo che esprimano un minimo di ragionevolezza.
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