Opg, ancora un anno di pena per decreto
Siamo a un bivio decisivo: il primo aprile è scaduto il termine fissato dalla legge per la chiusura degli Opg, gli ospedali psichiatrici giudiziari. Ma le regioni, responsabili dell’assistenza sanitaria alle persone internate, avevano dichiarato di non essere pronte e chiesto una proroga del termine fino al 2017. E così il governo ha emanato un nuovo decreto di proroga, per un solo anno, però. Viene detto che si tratta del termine ultimo e che fra sei mesi, di fronte a inadempienze delle regioni, il governo nominerà un commissario.
Si protrae così la grande sofferenza per gli internati nei sei Opg presenti sul territorio nazionale, definiti dal presidente della Repubblica Napolitano strutture indegne per un Paese civile. Per questo abbiamo detto a governo e parlamento che non è accettabile una proroga senza fissare precisi vincoli. Il decreto dovrà contenere disposizioni stringenti, che favoriscano le dimissioni e le misure alternative alla detenzione. E disposizioni chiare per bloccare gli ingressi impropri in Opg (ad esempio, misura di sicurezza provvisoria) e porre fine alle proroghe, dovute in gran parte non alla pericolosità della persona ma all’incuria delle istituzioni che dovrebbero farsi carico dell’assistenza. Ciò è possibile anche fissando un termine alla misura di sicurezza: non può essere superiore alla durata della «corrispondente» pena detentiva. Oggi non è così e lo provano appunto le ripetute proroghe della misura, che conducono fino agli «ergastoli bianchi».
Per prima cosa il decreto deve creare una cabina di regia tra istituzioni (ministeri della Salute e della Giustizia, regioni), per guidare il superamento degli Opg e far scattare le funzioni commissariali. Quindi, come previsto dalle norme e dalle sentenze della Corte costituzionale, permettere le dimissioni di gran parte degli attuali internati e prevenire futuri internamenti: con l’utilizzo di comunità, residenze, alloggi protetti, ecc, che garantiscano le cure necessarie e che permettano il recupero. Per questo il decreto deve «imporre» a tutte le regioni (Asl e Dipartimenti di salute mentale) la presentazione dei Progetti terapeutico-riabilitativi individuali (Ptri), già previsti dalla legge ma non obbligatori. Sono questi Progetti che permettono alla magistratura di optare per misure alternative alla detenzione. Per questa operazione vanno utilizzati i finanziamenti destinati alla chiusura degli Opg; portarla a termine vuol dire potenziare i servizi di salute mentale per tutti i cittadini, non solo per gli internati. Ciò significa far diventare le Rems – i cosiddetti «mini Opg» regionali previsti dalla legge 9/2012 — «inutili» o quantomeno residuali e transitorie. Qui infatti sta uno degli errori alla base del ritardo: governo e regioni hanno interpretato il superamento degli Opg come mera regionalizzazione degli stessi. Con un dato paradossale: nelle Rems programmate in tutte le regioni sono previsti mille posti, più degli attuali internati! (sono 894 secondo il Dap). Il decreto deve cambiare questa impostazione, anche per scongiurare che il personale sanitario sia adibito a funzioni di custodia anziché di cura.
Infine, sappiamo che è indispensabile una modifica sostanziale del Codice Rocco. Altrimenti resta «aperto il rubinetto» che alimenta gli Opg, mantenendo separati i destini dei «folli» da quelli dei «sani», secondo la logica manicomiale.
Il decreto intanto deve riportare l’attuale processo di superamento degli Opg «nella carreggiata della legge 180». Sulla strada segnata da Franco Basaglia, quando Marco Cavallo sfondando il primo muro del manicomio di Trieste iniziò a restituire cittadinanza a migliaia di uomini e di donne.
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