Province. A Palazzo Madama prove di resistenza ai blitz del segretario
L’inciampo è stato liquidato come tale: due votazioni nelle quali governo e maggioranza sono stati sconfitti sull’abolizione delle Province, non dovrebbero avere conseguenze durature. Al punto che il premier Matteo Renzi anticipa che se oggi pomeriggio passerà al Senato la proposta illustrata ieri dal sottosegretario Graziano Delrio, il suo collaboratore più stretto, «tremila politici smetteranno di ricevere un’indennità dagli italiani». Sarebbe un successo non da poco, dopo le promesse non mantenute per anni. Né bastano ad annullare la sensazione di una piccola grande svolta le critiche di quanti, soprattutto nelle file di Forza Italia, parlano di «bluff» sostenendo che secondo il disegno di legge le Province saranno trasformate, non cancellate. Eppure, Palazzo Chigi sa che a Palazzo Madama le resistenze promettono di essere più coriacee di quelle emerse ieri.
Intanto, l’idea di svuotare e spoliticizzare il Senato sta lentamente cedendo il passo a una soluzione meno traumatica, che corregge il bicameralismo senza eliminarlo. Soprattutto, l’aula di Palazzo Madama può diventare il parafulmine delle tensioni che percorrono non soltanto la maggioranza di governo ma anche il partito di Silvio Berlusconi; e che la vigilia delle elezioni europee di maggio accentua. Nel Pd si registra qualche timida richiesta a Renzi della minoranza che fa capo a Gianni Cuperlo, affinché il Pd abbia un profilo più autonomo dall’esecutivo. Si tratta di una fronda che però il premier sembra in grado di controllare e zittire. Il cumulo delle cariche di segretario e di capo del governo gli consente di affrontare la Direzione fissata per venerdì con una certa sicurezza: nonostante malumori evidenti.
Per paradosso, qualche pericolo all’asse istituzionale per le riforme può arrivare da FI. La strategia di rinnovamento radicale delle liste perseguita da Berlusconi sta facendo emergere un conflitto difficilmente controllabile tra la nomenklatura del partito e quello che viene definito velenosamente «il cerchio magico»: il gruppo di persone che a palazzo Grazioli circonda e, secondo i critici, condiziona Berlusconi mettendolo contro i dirigenti storici. L’assenza del capo dalla campagna elettorale e dalle liste a seguito delle condanne collezionate nei processi, rende FI a rischio di esplosione. E mostra trutta la difficoltà del suo «partito personale» di trasformarsi in qualcosa di diverso. La diatriba sull’eventuale candidatura di un figlio o una figlia del leader, apparentemente rientrata, nasce da qui.
L’ex premier rifiuta di ammettere l’esistenza di un gruppo di potere che lo farebbe somigliare pericolosamente a Umberto Bossi, il capo leghista rovinato dal «cerchio magico» dei fedelissimi. «Di magico», ha detto Berlusconi, «ci sono solo io». Ma se la situazione peggiora, al Senato il governo potrebbe trovarsi con spezzoni di FI pronti a far saltare il patto sulle riforme con Renzi: a partire da quella elettorale sulla quale già sono emerse le resistenze di alcuni settori del Pd e del Nuovo centrodestra. Per questo il presidente del Consiglio vuole bruciare i tempi e rafforzare i propri poteri: perdere velocità significa rischiare il compattamento degli avversari. Né va sottovalutato lo scarto vistoso compiuto da Berlusconi in politica estera.
Il giorno prima dell’arrivo a Roma del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, il capo del vecchio centrodestra ha diramato una nota per difendere Vladimir Putin, appena ostracizzato per l’annessione della Crimea ucraina. Poche righe scritte e dunque meditate, per definire «avventata, antistorica e controproducente» la decisione dei leader riuniti all’Aia, di escludere la Federazione Russa dal G8. Può darsi si tratti di una mossa dettata solo dal sodalizio con Putin, che ha punteggiato tutta l’esperienza di governo berlusconiana. Ma si indovina anche il tentativo di dare voce a quanti, in Italia, temono che le sanzioni contro Mosca compromettano i nostri rifornimenti energetici; e magari, di usare l’argomento in campagna elettorale, incrociando gli umori antieuropei che hanno fatto trionfare la destra in Francia.
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