Un tratto di penna al Cremlino E la Crimea cambia bandiera
MOSCA — L’ha paragonata alla riunificazione tedesca del 1990: «Nei cuori e nella mente della gente la Crimea è sempre stata parte della Russia e questa ferma convinzione, basata sulla verità e sulla giustizia, era incrollabile ed è passata da una generazione all’altra». Nel firmare il trattato che sancisce l’ingresso della Crimea nella Federazione, Vladimir Putin ha chiesto ai tedeschi di mostrare ora la stessa comprensione e lo stesso «sostegno» che l’Urss ebbe allora per loro.
Ha affermato che non intende annettere altre parti dell’Ucraina, ma poi si è dilungato sulla nazione russa che dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica si è trovata a essere «uno dei più grandi gruppi etnici al mondo diviso da frontiere, se non il più grande». E questo ha fatto correre brividi sulla schiena di parecchi vicini: dalla Moldova, dove la Transdnistria ha subito chiesto di essere annessa alla Russia come la Crimea, alla stessa Kiev, con il Donbass e altre regioni dell’Est che si sentono in maggioranza russe.
L’annessione dovrà essere ratificata dal Parlamento e seguire altre procedure. Ma il risultato non è dubbio, visto che la Duma e il Consiglio della Federazione sono sotto lo stretto controllo di Putin. E non è un caso che quando il presidente russo si deve rivolgere ai due rami del Parlamento non è lui a muoversi, come avviene nella maggior parte dei Paesi (Usa, Francia, Gran Bretagna, Italia e perfino Bielorussia). A Mosca i deputati e i senatori vengono praticamente chiamati a rapporto e si presentano al Cremlino.
Nel suo discorso (interrotto dagli scroscianti battimano di rito) Putin ha difeso le scelte fatte e ha accusato gli Stati Uniti e in generale l’Occidente di voler mettere la Russia «in un angolo» e di comportarsi in maniera «irresponsabile, rude e non professionale». Ha richiamato il paragone con il Kosovo e ha sostenuto che non c’è alcuna differenza. Le migliaia di morti che portarono alla separazione di quella regione dalla Serbia, «non costituiscono un elemento giuridico previsto dal diritto internazionale». Ha fatto capire che se in Crimea non c’è stato spargimento di sangue questo è dovuto unicamente alla presenza russa che, peraltro, non ha oltrepassato «i 25 mila uomini previsti dal trattato esistente con l’Ucraina».
La sua affermazione che nella regione non s’è registrato neanche un morto è stata subito smentita nei fatti quando uomini armati non identificati hanno sparato uccidendo un militare e ferendone altri due. Secondo Kiev si tratta di loro soldati, secondo le milizie crimeane, il morto sarebbe loro e i feriti uno per parte. Il primo ministro ucraino Arsenij Yatsenyuk: «I soldati russi hanno cominciato a sparare contro i militari ucraini e questo è un crimine di guerra».
Per oggi era atteso a Mosca il presidente del Consiglio europeo Van Rompuy, anche se sulla Crimea sembra che oramai ci sia ben poco da trattare. Forse per questo la visita sarebbe stata annullata. La Russia e Putin non faranno mai marcia indietro. Ieri in decine di migliaia hanno affollato la Piazza Rossa per esprimere il loro sostegno a Vladimir Vladimirovich. E perfino alcuni critici di Putin, come Mikhail Gorbaciov, hanno approvato la «riunificazione».
La questione, ora, è il destino del resto dell’Ucraina, visto che la Russia continua a non ritenere legittimo il governo al potere. L’impressione è che se ci fosse una ipotesi concreta di ingresso nella Nato o nella Ue, allora il Paese si spaccherebbe. «Figuratevi un po’, saremmo dovuti andare a Sebastopoli ospiti dei marinai Nato», ha ironizzato ieri Putin riferendosi all’idea di una Crimea parte di una Ucraina nell’Alleanza Atlantica.
Per tentare di gettare acqua sul fuoco, il premier di Kiev Yatsenyuk ha parlato in tv in russo (lui che proponeva di non considerarlo più seconda lingua del Paese) e ha detto che l’Ucraina non intende entrare nell’Alleanza e che il governo disarmerà le milizie nazionaliste. Cioè l’ala estrema del gruppo che, secondo Putin, è costituito da «nazionalisti, neonazi, russofobi e antisemiti». Ma poco dopo il vicesegretario del Consiglio di Sicurezza ucraino Dmytro Yarosh, che è leader del gruppo di estrema destra Pravij Sektor, ha smentito Yatsenyuk: «Disarmarci? Non se ne parla nemmeno».
Fabrizio Dragosei
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