LA METAMORFOSI DELLA DIPENDENZA

LA METAMORFOSI DELLA DIPENDENZA

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L’eroina è cosa vecchia, non c’è più, è una roba da nostalgici. Una vecchia storia triste raccontata da uno zio senza famiglia che per fortuna non c’è più motivo di ascoltare. Il tossico distrutto, magro che gli puoi passare dentro, abbandonato mezzo morto, neanche nascosto agli occhi dei bambini, sotto un albero del parco, la siringa nel braccio o lì per terra, gli occhi giganti nelle occhiaie, la pelle gialla e grigia, non c’è più. Non ci sono nemmeno più tanti parchetti. Quello di Bari, per esempio, si è trasformato in un enorme parcheggio sotterraneo, nel cuore della città pulsante. Quello di Bologna è molto migliorato, si può di nuovo attraversarlo passeggiando, inerpicarsi tra i suoi sentieri con le scarpe che alzano la terra, perdersi allegri tra le bancarelle. Quelli di Scampia e Secondigliano sono stati sdoganati: sappiamo tutti che ci sono, li abbiamo visti in tv e ne abbiamo sentito parlare così tanto che si sono ridotti a un rumore bianco come un altro.
Nei SerT – Servizi per le Tossicodipendenze – di tutta Italia gli eroinomani a frotte, a plotoni, stanno in fila per il metadone o le Subutex, terapie per la disintossicazione controllata. Come in un Qualcuno volò sul nido del cuculo
versione solo tossici, si avvicinano uno per volta – non oltrepassare la linea gialla, per la privacy – al vetro, che sta lì perché non si avventino sul loro sciroppo salvavita, ricevono un bicchierino di plastica con dentro la terapia, lo bevono davanti agli operatori, lo buttano in un cestino, escono. O vanno a parlare col medico per contrattare la razione quotidiana (dovrebbero scalare, cioè diminuire, spesso stanno fermi per anni, o aumentano), o ritirano una bottiglietta in plastica marrone con dentro la quantità di terapia per una settimana o più. Si chiama
affido, e dipende dalle analisi: per meritare il premio devi essere pulito. Nei parchetti di tutta Italia scampati alla rimozione – i tossici non ci sono più – gli eroinomani a schiere si aggregano come cellule al microscopio per raccattare i soldi per l’accocchio (o altri cento nomi dello slang) utili a raggiungere il corrispettivo di un
pezzo (una dose), due pezzi, tre. Quanti ne servono. Spacciano o comprano, aspettano frementi e silenziosi o gridano. Si acquattano in un angolo e si fanno sul posto, o tornano a casa e si dividono il bottino. Nei quartieri di tutta Italia, nei condomini, nelle case, gli eroinomani ci sono; ma non si vedono. Nessuno lo sa.
Negli anni ’70 e ’80 l’eroina gridava il suo potere, la sua supremazia: mieteva vittime brandendo l’ascia come le pareva, spesso tra i poveri, quasi sempre tra gli adolescenti, spingeva i tossici nelle vie o nelle case, li faceva prostituire e rubare, li ammalava così tanto che cadevano a pezzi per le strade. Era indiscussa, fortissima, mostrarsi le dava un piacere irrinunciabile. Poi si è fatta furba.
Si è nascosta dentro tutte le classi sociali, si è allargata a ogni età, si è mescolata alle nuove droghe della velocità, è scesa a compromessi con le medicine dello Stato perché l’astinenza non si marchiasse più sopra i corpi della gente, non la spingesse più a gesti folli, pericolosi per la società. I grandi contrabbandieri hanno diversificato il taglio per diminuire il pericolo di overdose. Se i tossici non si vedono, se muoiono tanto quanto prima ma in modi meno eclatanti (overdose, Aids), se non rubano; non ci sono più. Se sono un pericolo solo per se stessi: non ci sono più. Se possono condurre una vita normale all’apparenza, poiché il metadone rende l’astinenza molto meno faticosa: non ci sono più neanche per sé. Se possono evitare di usare la siringa, ma possono fumare o tirare l’eroina, neanche di sé dicono: sono dipendente. Si guardano allo specchio e sono come tutti, all’apparenza. Oltre l’apparenza, però, persino in ogni pezzo, c’è la stessa banalità della morte di quando l’eroina ostentava il proprio potentissimo primato.
(La scrittrice è autrice del romanzo “Devozione” che racconta la dipendenza da eroina)


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