Immigrati e lavoro nero. Conferenza FILLEA

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Immigrati e lavoro nero / Conferenza nazionale Fillea a Milano

In cantiere a testa alta e senza ricatti di Roberto Greco

Immigrazione clandestina e lavoro sommerso. Due facce della stessa medaglia, quella dell’illegalità, presenti in modo massiccio nel settore delle costruzioni. È per questo che la Fillea Cgil dedica al preoccupante binomio una conferenza nazionale il 7 luglio a Milano. Anche il luogo è emblematico, perché proprio nei cantieri edili di quella provincia c’è un’alta concentrazione di lavoro irregolare, che ha raggiunto ormai la soglia del 50 per cento, formata da manodopera italiana, in gran parte meridionale, e da stranieri. L’iniziativa della Fillea si caratterizza all’interno della campagna della Cgil “Il rosso contro il nero” ed è stata preceduta da un importante lavoro preparatorio, con tre assemblee territoriali organizzate dal coordinamento immigrati della categoria a Milano, Firenze e Roma, rispettivamente il 16, 19 e 22 giugno.

“La situazione è drammatica – afferma Mara Nardini, della segreteria nazionale Fillea –, malgrado qualche positiva novità, a seguito della regolarizzazione dei lavoratori immigrati avvenuta nel 2003-2004, e dei primi effetti dell’introduzione della certificazione di regolarità contributiva per imprese e lavoratori. C’è ancora molto da fare, ma quei segnali incoraggianti ci confermano che dobbiamo insistere sulla strada intrapresa, offrendo un terreno fertile a tutti coloro che ancora vivono, da lavoratori, in una condizione di clandestinità”. Per il sindacato, l’atto più urgente da fare è mettere in regola quei 315.000 stranieri presenti in Italia e già occupati, che hanno fatto domanda lo scorso marzo, ma non sono rientrati nel cosiddetto decreto flussi, che ha interessato 140.000 persone. In particolare nel settore edile, c’è una quota consistente di stranieri che lavora a tutti gli effetti, ma per la quale non c’è stato finora alcun datore di lavoro disposto a presentare domanda d’assunzione e regolarizzazione, così come stabilisce la legge Bossi-Fini.

La conferenza milanese servirà alla Fillea per presentare delle proposte in materia. “La via da percorrere – osserva Nardini – è quella di mettere nelle mani degli stessi lavoratori immigrati lo strumento per la loro emersione, un permesso di soggiorno per chi è in grado di provare la propria occupazione, anche se al nero. Solo in questo modo possiamo riuscire a svuotare un serbatoio d’illegalità, attivando un percorso di regolarizzazione”. Secondo il sindacato di categoria, è basilare che la regolarità della presenza nel nostro paese dei lavoratori stranieri sia costruita sin dal momento dell’entrata in Italia, rendendo per loro conveniente l’ingresso legale, mediante la concessione di un apposito permesso per ricerca di lavoro, che consenta agli immigrati di trovare a “testa alta” un’occupazione, evitando di subire ricatti da parte di imprenditori senza scrupoli.

Allo studio della Fillea c’è anche la lotta alle illegalità emergenti nel settore, dovute alla peculiarità del lavoro. “Quello edile è caratterizzato dalla discontinuità – spiega ancora Nardini –: la condizione di occupato si perde nell’intervallo tra la chiusura di un cantiere e l’apertura di un altro, ma questo è incompatibile con le regole della Bossi-Fini per il rinnovo del permesso di soggiorno. Ciò induce molti stranieri regolari a comportamenti irregolari”. Il più diffuso è quello dell’apertura di false partite Iva: in cambio dell’assicurazione del rinnovo, il dipendente è costretto a diventare lavoratore autonomo. “Per il datore di lavoro il beneficio è doppio – continua la segretaria della Fillea –, perché così riduce il costo del lavoro e ha meno vincoli sul piano delle tutele. Per il settore, al contrario, è il danno a essere raddoppiato, perché accentua la frantumazione di imprese e lavoratori. Per combattere il fenomeno, la soluzione sarebbe di slegare il permesso di soggiorno dal rapporto di lavoro”. Che la legge sull’immigrazione in vigore sia da cambiare, lo si evince anche da un altro aspetto. “La normativa previdenziale per gli immigrati – sottolinea Nardini –, introdotta sempre dalla Bossi-Fini, è altamente ingiusta, in quanto prevede l’accantonamento dei contributi fino al sessantacinquesimo anno d’età. Per gli stranieri che decidono di mettere radici in Italia può andar bene; non altrettanto per chi è solo di passaggio e spera di tornare al più presto nel proprio paese, dopo aver messo da parte un po’ di soldi. In quest’ultimo caso, l’attuale norma induce molti stranieri a pensare che i contributi siano soldi buttati via e che invece risulti più vantaggioso lavorare in nero”.

La proposta della Fillea prevede la stipula di convenzioni con i paesi d’origine, sulla falsariga di quanto è stato fatto all’epoca degli italiani in giro per il mondo a cercar lavoro, affinché si possa costruire per gli immigrati una posizione pensionistica, rendendo utili i contributi versati sia da noi che nei luoghi di provenienza. “Per le situazioni ove ciò non sia possibile – aggiunge Nardini –, andrebbe ripristinata la vecchia legge Turco- Napolitano, che consentiva agli stranieri di ottenere i contributi versati all’atto del rientro in patria”. La battaglia contro l’illegalità passa anche attraverso la formazione professionale. “Si tratta di uno strumento importantissimo – sostiene Moulaj El Akkioui, della segreteria nazionale Fillea –, perché equivale a un’attestazione di professionalità. Le statistiche ci dicono che circa metà della forza lavoro in edilizia è inquadrata come operaio di primo livello, il più basso: allora, ci domandiamo, come fanno le imprese a portare avanti i loro lavori con una manodopera così sottoqualificata?

È evidente che alla maggior parte degli stranieri non viene riconosciuta la professionalità acquisita in lavori altamente specializzati, sia nel nostro paese che in quelli d’origine”. Quello della formazione è, per il rappresentante della Fillea, un problema da risolvere al più presto: “Prendiamo l’ultima tragedia avvenuta su un appalto della Catania-Siracusa, dove il ragazzo che ha perso la vita stava sui ponteggi a tre giorni dalla sua assunzione, senz’alcuna preparazione preventiva. È un’ulteriore dimostrazione di come la mancanza di formazione finisca con l’incidere anche sul piano della sicurezza”. Naturalmente, la strategia sindacale contempla anche il potenziamento dei servizi ispettivi, oggi penalizzati da una paralizzante scarsità di risorse. “Sappiamo di funzionari – conclude Nardini – che non hanno più neanche i soldi per la benzina e sono impossibilitati a recarsi nei cantieri fuori città. Il fatto di non poter girare, significa che i controlli non si fanno praticamente più. È necessario aumentare i fondi a disposizione per le ispezioni, oltre che elevare la loro capacità d’incidere grazie a una programmazione mirata, avvalendosi delle sinergie tra i vari organismi preposti”.

(www.rassegna.it, Rassegna sindacale, luglio 2006)

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