I confini della città. Cronache dalle periferie milanesi

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Corvetto, ridente quartiere di Milano con le aiuole colorate di bellissimi fiori

di Davide “Atomo” Tinelli

Gabrio Rosa, quattro alberi nel mezzo di un’enorme rotonda, è l’ultima piazza che delimita l’urbanizzazione della città stretta tra il cavalcavia per l’autostrada e un desolato hinterland fatto di casermoni, campi utilizzati più come discariche che per agricoltura, baraccopoli di nomadi e senza tetto.
Classica periferia della capitale economica d’Italia dopo un lungo periodo di cura del centro destra, il famoso modello Milano vanto del sindaco amministratore di condominio.
Capita così che la “grandeur” non sia solo parigina e le banlieau siano anche qui realtà del territorio, naturalmente, tanto per mettere i puntini sulle i, con molti meno servizi sociali, con più disoccupazione e lavoro nero e, soprattutto, una precarietà diffusa.
Precarietà di potersi permettere gli affitti più cari d’Europa, di mantenersi dignitosamente tra casermoni ex iacp con citofoni e ascensori perennemente fuori uso, di lavorare con contratti dalle sigle fantasiose rinnovabili a piacimento del datore di turno. Passeggiando tra i muri screpolati e le aiuole in un tripudio di fiori colorati, grazie all’intenso lavoro del vice sindaco De Corato e alla sua visione dell’arredo urbano, scopri che esistono i giovani, accrocchiati su un lembo d’asfalto intenti a rollare una canna o in sella allo scooter mentre si esibiscono in pericolose acrobazie. Anche il “contratto di quartiere” che doveva essere strumento di dialogo con i cittadini si è rivelato come imposizione dettata dall’alto e disegnata sulla cartina di luoghi sconosciuti.
Ricorda tanto la città di trent’anni fa solo che nel frattempo molte cose sono cambiate e soprattutto non esiste più il senso di appartenenza e solidarietà delle vecchie periferie operaie.
Il capitolo investimenti nel decentramento è quasi scomparso dal bilancio comunale, quello relativo ai giovani è stato sostituito, con l’inizio dell’era Albertini, dalla parola telecamere.
Gli impianti sportivi comunali sono inaccessibili ai più visto che le tariffe sono state “aggiornate”, i campetti da calcio nei quartieri sono spariti, i parchi sono diventati cartoline da ammirare con recinzioni per i cani, per gli anziani, per i bimbi, per le telecamere, per l’arredo urbano.
La vecchia figura del Vigile Urbano, il ghisa con il quale potevi discutere e, spesso, tentare di convincere che non era proprio rosso il semaforo che avevi appena “bruciato”, è stata soppiantata dal Poliziotto Locale con la divisa da motociclista dei marines.
La cura albertiniana ha trasformato la Vigilanza in un nuovo corpo di Polizia che invece di collaborare nell’amministrazione quotidiana improvvisa pattuglioni per i posti di blocco, organizza controlli con l’unità cinofila, esegue parate militari per ogni cerimonia ufficiale, distribuisce calendari che neanche i Carabinieri sarebbero in grado di pensare.
L’esaltazione del Corpo, la disciplina militare imposta dall’ex comandante (Generale del C.C. in pensione) che prevede addirittura l’utilizzo del “Codice Nato” per sillabare la targa di un’autovettura, la mancanza di corsi di aggiornamento professionale, la costante richiesta di armi ed equipaggiamento antisommossa hanno procurato l’evoluzione del cittadino ghisa in uno strumento odioso di repressione e arroganza.
Come ci si può stupire se una compagnia di ragazzi di frontiera organizza una sorta di regolamento di conti con le odiate divise?
Anni e anni a predicare tolleranza zero, a criminalizzare l’irrequietezza degli sbarbati che imbrattano i muri, a seminare insicurezza e paura non possono che dare questi frutti.
Dov’è la città delle culture, dell’innovazione, delle mille idee? Forse nella notte bianca una tantum o forse nel quotidiano e nel sociale.
Che eredità lasci caro sindaco in questa grigia e rumorosa città? Il primato della densità urbanistica, il gruviera dei parcheggi costruiti sotto le poche aree verdi, la privatizzazione inspiegabile delle aziende dei milanesi, il merito di aver centuplicato la vendita di telecamere, i cubetti di Montorfano e il marmo anticato a decorare le migliaia di paletti di alluminio piantati come i bellissimi fiori delle aiuole? O una città svuotata della sua socialità, brutta, sporca, impossibile, invivibile e piena di conflitti insanabili.
Per governare Milano ci vuole amore, non carta bollata.

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