L`Europa sociale è a rischio. Intervista a John Monks, della CES

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(Questa intervista è stata pubblicata a ottobre sulla Newsletter della Ces)

Ces / Intervista a John Monks

“L`Europa sociale è a rischio“

A maggio di quest’anno John Monks, segretario generale della Confederazione europea dei sindacati (Ces), è giunto a metà del suo mandato quadriennale. “Sono stati due anni molto difficili – esordisce Monks, al quale chiediamo un bilancio del primo biennio alla guida del sindacato europeo – e non sono andati esattamente nella direzione che auspicavamo. L’Europa sociale subisce forti pressioni. Alcuni la giudicano troppo costosa, poco flessibile e poco orientata al mercato, in una situazione in cui la disoccupazione resta alta e non aumentano né la crescita né la competitività”.

Sotto accusa vi è solo l’Europa sociale o l’Europa più in generale?

Monks In generale l’Europa deve fare i conti con gli esiti del referendum francese e di quello olandese. Vi sono pressioni per un ritorno alle politiche nazionali, mentre l’Europa viene chiamata in causa per giustificare ciò che va male. Tra la gente comune la percezione dell’Europa è in crisi. Secondo i sondaggi la sua popolarità è in calo in molti paesi. Insomma, non è una buona base di partenza. Ciò è dovuto in parte alla direzione imposta dalla nuova Commissione europea, in parte al fallimento della guida politica – soprattutto nei più importanti Stati membri –, in parte alle difficili circostanze economiche, a cominciare dall’aumento del prezzo del petrolio. Non mancano tuttavia le notizie positive. È stato un grande successo l’allargamento, con tutto ciò che si è portato dietro: l’apertura dell’Europa centrale e orientale, gli elevati tassi di crescita dei paesi interessati e la fiducia crescente. In questo si può vedere la potenza dell’idea di Europa. Sono certo che entro i prossimi 20 anni questi paesi avranno raggiunto il passo e la prosperità di paesi come l’Irlanda e, a loro volta, avranno beneficiato altri paesi europei e non europei. L’altro aspetto positivo è il sostegno che i sindacati dei paesi europei hanno assicurato alla Ces. Abbiamo avuto grandi, riuscite manifestazioni a Roma e a Bruxelles, e riscontri entusiastici per ciò che stiamo cercando di fare. Tutto ciò è incoraggiante ed è una buona base su cui continuare a operare in un clima difficile.

Quali sono le sfide da affrontare nella seconda parte del tuo mandato?

Monks La priorità resta la costruzione di un progetto comune per rilanciare la crescita e l’impiego e per sviluppare l’Europa sociale. L’economia ha bisogno di una domanda più forte. I consumatori non spendono perché sono preoccupati del loro posto di lavoro e del loro futuro. Allo stesso tempo dobbiamo affrontare problemi fondamentali come la delocalizzazione, la sfida demografica dovuta all’invecchiamento della popolazione e ai bassi tassi di natalità, il bisogno dei lavoratori in mobilità di essere adeguatamente protetti e non trattati come lavoratori di seconda classe, il maggiore sostegno da assicurare ai lavoratori che hanno subito gli effetti negativi dei cambiamenti.

L’approvazione o meno della direttiva Bolkestein costituisce un test importante per il sindacato europeo?

Monks La Direttiva dovrebbe completare il suo iter parlamentare nell’assemblea plenaria fissata per metà gennaio. Quello stesso giorno a Strasburgo vi sarà una grande manifestazione Ces a sostegno della richiesta di escludere dalla direttiva il principio del paese d’origine, che riguarda gli accordi collettivi, gli standard lavorativi e i servizi d’interesse generale. I lavoratori devono avere sufficienti garanzie prima che la direttiva sui servizi sia approvata. Per questo, e anche per promuovere l’impiego nei servizi, stiamo esercitando una forte pressione sul Parlamento.

Come giudichi il tentativo della Commissione europea di ridurre la regolazione a livello europeo?

Monks Negli ultimi trent’anni sono stati celebrati non so quante volte i funerali della burocrazia. Spesso è solo un comodo slogan che nasconde la scarsa azione politica. Nessuno difende la regolazione in eccesso e superflua, ma spesso ciò che è regolazione fastidiosa per gli uni è protezione vitale per gli altri. Noi non possiamo tollerare l’erosione di tutele essenziali.

Il documento della Commissioone su “I valori europei in un mondo globalizzato”, sostiene tra l’altro l’idea di un fondo per la globalizzazione. La Ces è d’accordo?

Monks Ne salutiamo l’approvazione con favore. Ciò che ancora manca è una strategia condivisa per rilanciare la domanda e la crescita economica. La Ces chiede che vi sia una nuova agenda per l’Europa sociale, in materia di ristrutturazioni, cambiamenti demografici, migrazione, uguaglianza, apprendimento e servizi d’interesse generale. Ma, per risolvere il problema dell’impiego, abbiamo bisogno innanzi tutto di politiche economiche forti e coordinate.

Pensi che sia possibile salvaguardare il modello sociale europeo?

Monks L’Europa sociale è caratterizzata da sistemi di welfare, servizi pubblici e sindacati influenti, tutte condizioni che non esistono in altre parti del mondo, con la parziale eccezione del Giappone e del Canada. Dobbiamo insistere sulla necessità di difendere questo modello perché, quando è sotto attacco, in pericolo è l’intero concetto di Europa. Chi sostiene che non esiste un’unica Europa sociale, ma solo 25 sistemi nazionali, o magari cinque categorie di sistemi, e che quindi non avrebbe senso una politica sociale a livello europeo, dimentica un aspetto fondamentale. Oggi esiste un unico mercato che copre 25 paesi e che, in settori come l’edilizia, i trasporti su strada, la ristorazione e gli alberghi, sta creando un unico grande mercato del lavoro. Come può esistere un unico mercato del lavoro senza standard comuni? In quali condizioni e sotto quale giurisdizione operano ad esempio i lavoratori immigrati? E qual è lo status stabilito dalla contrattazione collettiva nel mercato unico?

Quali priorità ha individuato il sindacato europeo per soddisfare le attese dei lavoratori e dei cittadini europei?

Monks La prima è la capacità di attirare nuovi iscritti e di organizzarli nel sindacato. Negli ultimi 20 anni le adesioni ai sindacati sono diminuite in tutti i paesi europei. Il secondo problema è costituito dalle delocalizzazioni. Alcune preoccupazioni sono forse esagerate, ma ciò non significa che non se ne debba tenere conto, soprattutto se le attuali tendenze subissero un’accelerazione. È importante avere più influenza sulle aziende per poter esercitare un maggiore controllo sulle loro decisioni. Il terzo problema è costituito dalla sfida demografica, considerato che la caduta dei tassi di natalità e l’allungamento della speranza di vita creano situazioni inedite in tutti i paesi.

A settembre 2005 sono stati celebrati 20 anni di dialogo sociale europeo. Come si sono evoluti i rapporti tra le parti sociali in questo arco di tempo?

Monks Sono stati 20 anni di alti e bassi, ma certamente le cose sono andate migliorando. La Ces ha come punto di riferimento la presidenza di Jacques Delors, quando fu raggiunto un ottimo livello di dialogo sociale. Allora i datori di lavoro erano tenuti a concludere accordi collettivi, pena il ricorso alla legge, mentre Delors cercava di equilibrare il mercato unico con una forte dimensione sociale. Questa stagione sembra ormai tramontata. Oggi la Commissione non fa che rinviare i problemi alle parti sociali, assumendo una posizione di neutralità. Dobbiamo però sforzarci di recuperare quelle motivazioni, chiedendo alla Commissione e ai paesi membri di promuovere misure che dimostrino la capacità dell’Europa di tutelare i lavoratori. Il fatto che negli anni recenti sia stato carente proprio questo aspetto contribuisce a spiegare il “No” ai referendum.

Tu che sei stato alla guida del Tuc inglese prima di diventare segretario generale della Ces, che differenze hai riscontrato tra l’azione sindacale europea e quella nazionale?

Monks Come segretario generale del Tuc sono stato membro dell’esecutivo Ces per 10 anni. Allora avevo la sensazione di occuparmi non di politica estera ma di cose che riguardavano la vita sindacale inglese. Oggi avviene lo stesso. L’Ue è presente su gran parte del terreno in cui operano i sindacati nazionali. Nostro compito è difendere gli interessi di questi ultimi a livello europeo, agendo di concerto. Abbiamo migliorato le relazioni e il modo di agire comune, ad esempio su temi come la direttiva sui servizi. Quest’ultima è stata bloccata grazie alla nostra campagna che, lo scorso 19 marzo, ha portato 80 mila persone a manifestare a Bruxelles.

(www.rassegna.it, 23 dicembre 2005)

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