Guantanamo d`Europa

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Corriere della sera, 29 novembre 2005

«Puniamo chi ha ospitato le prigioni Cia»

Frattini: «Un passo inevitabile» se si dimostrerà la responsabilità di Paesi europei

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
BARCELLONA – Via i diritti di voto nel Consiglio Ue a quei Paesi che avessero «ospitato» le piccole «Guantanamo» d’Europa. Il Commissario alla Giustizia, Libertà e Sicurezza, Franco Frattini lo considera un passo inevitabile, previsto dall’articolo 7 del Trattato, lo stesso che fu chiamato in causa, ma non applicato, contro l’Austria, all’epoca del «caso Haider». A Berlino, a margine del IV congresso della Difesa europea, Frattini ha messo a fuoco quella che, per il momento, considera «solo un’ipotesi»: «Qualora si scoprisse che Stati della Ue avessero ospitato strutture detentive segrete mi troverei obbligato a proporre al Consiglio dei ministri Ue misure molto serie, come la sospensione del diritto di voto in Consiglio».
Le indiscrezioni, pubblicate qualche settimana fa dal Washington Post e le denunce di associazioni come Human Rights Watch, portano, soprattutto verso due «siti sospetti»: l’aeroporto Szymany in Polonia e la base militare Michail Kogalniceanu in Romania. Il diritto di voto nei Consigli della Ue, quindi, eventualmente verrebbe tolto alla Polonia, già partner dell’Unione, mentre per la Romania la questione potrebbe compromettere la programmata adesione al club dei 25, prevista per il 1° gennaio 2007. I governi dei due Paesi, comunque, smentiscono con forza in ogni possibile occasione. Ancora ieri il presidente polacco ha ripetuto: «Queste prigioni non esistono sul nostro territorio… e non sono mai esistite». In realtà gli accertamenti toccano uno spettro più ampio di Paesi. Gli inquirenti stanno verificando destinazioni e transiti di velivoli sospetti, con a bordo presunti terroristi presi in custodia dalla Cia. La magistratura, o altre attività inquirenti, stanno lavorando in Spagna (scalo a Palma di Maiorca), Irlanda (aeroporto di Shannon), Cipro (Larnaca), Austria, Danimarca, Norvegia e Svezia. In parallelo il Consiglio d’Europa, organismo che raggruppa 45 Stati europei, ha aperto un’inchiesta formale sulla base dei poteri conferiti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. A tutti i governi è stata inviata, il 21 novembre scorso, una richiesta di chiarimenti. Le risposte dovranno arrivare entro il 21 febbraio 2006.
Nelle istituzioni europee l’attenzione è massima, anche se prevale la cautela, come testimoniano le reazioni raccolte ieri a Barcellona, a margine del vertice Euromediterraneo. Javier Solana, Alto Rappresentante per la Politica estera e la Sicurezza comune, osserva che «sulla base delle informazioni raccolte finora nessuno stato membro risulta implicato nella gestione di prigioni per conto della Cia. O peggio di aver cooperato a una pratica infame come quella della tortura. Occorrono le informazioni giuste: mi risulta difficile, a questo stadio, ragionare sulle ipotesi». Più propositivo il capogruppo del Ppe all’Europarlamento, il tedesco Hans Gert Pöttering: «Questo è un problema molto serio. Noi, come parlamentari, insisteremo per sapere se le accuse sono vere oppure no. E se qualcuno ha ospitato campi di detenzione, andrà incontro a conseguenze pesantissime». Ancora qualche settimana d’attesa e poi, Pöttering potrebbe chiedere una commissione d’indagine dell’Europarlamento: «Dipende dal tipo di informazioni che arriveranno nei prossimi giorni».
Che cosa si prepara? È giusto chiederlo a Frattini, raggiunto in serata al telefono, mentre rientra a Bruxelles. «Io non ho poteri diretti di inchiesta – riprende il vicepresidente della Commissione – tuttavia, la settimana scorsa, abbiamo sollevato il problema con l’amministrazione degli Stati Uniti. Stiamo aspettando la risposta. Intanto registro la smentita totale della Polonia. La Repubblica Ceca ha reso noto che sì avevano ricevuto una richiesta, da una non ben precisata autorità americana, per un “alloggiamento temporaneo“ di un detenuto. Ma il governo di Praga ha rifiutato. Noi stiamo conducendo degli approfondimenti. Io stesso, poi, ho chiesto notizie al ministro degli Interni rumeno. Mi ha risposto che chiunque può andare a vedere la base “sospetta“: scoprirebbe solo un piccolo aeroporto per il rifornimento. Infine la magistratura spagnola ritiene che nelle Baleari non ci siano stati problemi e il Consiglio d’Europa ha verificato che anche la Bulgaria è a posto». Conclusione? «Ci guida il Trattato: garantismo, ma grande rigore, in presenza di prove certe».

Giuseppe Sarcina

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IL CASO ABU OMAR
Imam rapito, Washington invoca il segreto di Stato

Abu Omar, imam egiziano sospettato di terrorismo, è stato rapito dalla Cia a Milano il 17 febbraio 2003
Dopo sei mesi di silenzi e «no comment», un ricorso contro l’ordine d’arresto svela per la prima volta la linea di difesa dei 22 agenti della Cia accusati di aver sequestrato a Milano l’imam egiziano Abu Omar. L’istanza di 21 pagine è stata presentata dall’avvocato Daria Pesce come difensore di fiducia di Robert Seldon Lady, l’ex capo della stazione Cia di Milano, formalmente ricercato dal 23 giugno come «organizzatore» del rapimento di quel predicatore sospettato di terrorismo, che il 17 febbraio 2003 fu trasferito con due voli segreti in Egitto e qui torturato, secondo l’accusa, fino a renderlo invalido. Nel ricorso, la difesa sostiene che Bob Lady «ha rivestito per 4 anni la qualifica di console accreditato degli Stati Uniti a Milano con funzioni di alto sovrintendente dell’ intelligence », per cui tutta la sua «attività di contrasto del terrorismo» sarebbe coperta da «immunità diplomatica». Uno scudo valido «anche per le missioni speciali». Anzi, visto che l’ipotizzata azione clandestina della Cia sarebbe stata compiuta «nel superiore interesse di Usa e Italia», la difesa chiede ai giudici di «interpellare formalmente il presidente del Consiglio» per chiedere direttamente a Berlusconi se, «come è sua facoltà», intenda «opporre il segreto di Stato». Ma non basta. Tra le prove più vistose a carico del capo-centro Cia, il pm Armando Spataro aveva esibito una foto cruciale, scoperta nel computer privato di Bob: Abu Omar ritratto nel luogo esatto del sequestro e alla stessa ora. Secondo la difesa, però, quella foto «non è utilizzabile», perché la Convenzione di Vienna del 1963 sancisce che tutti «gli archivi e i documenti consolari sono inviolabili». La prima richiesta della difesa, beninteso, è che il giudice dichiari la completa innocenza di Bob Lady: solo «in subordine» il ricorso si appella all’immunità diplomatica. Secondo le prime indiscrezioni, il nuovo giudice dell’inchiesta, il gip Enrico Manzi, avrebbe invece riconfermato l’arresto, motivando che l’immunità diplomatica vale solo per «atti compiuti nell’esercizio delle funzioni di console»; che non copre comunque i reati più gravi, come il sequestro; e che il segreto di Stato vale solo nell’interesse dell’Italia. La difesa però ha già annunciato che, se verrà ufficializzato il no del gip, ricorrerà «in appello e in Cassazione». Sarà dunque la Suprema Corte a dire l’ultima parola sui limiti dei poteri della Cia in Italia.
Pa. B.

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