GUERRE E TERRORISMI GLOBALI – LA NOSTRA RISPOSTA A IL FOGLIO

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(si veda l`articolo del Foglio qui nella sezione “Recensioni“) Al direttore del Foglio e a Massimiliano Lenzi
La «visione inedita» della rete terroristica internazionale denominata Al Qaeda di cui parla Massimiliano Lenzi nell’articolo pubblicato su “Il Foglio” in data 25 giugno e attribuita al Rapporto diritti globali 2005 (editrice Ediesse) è forse inedita per l’autore dell’articolo, non certo per chiunque segua e legga gli innumerevoli studi e analisi svolti negli ultimi anni a livello internazionale da autorevoli studiosi, analisti, ricercatori, soprattutto negli Stati Uniti e nel Regno Unito (cioè i due Paesi i cui governi hanno dichiarato la cosiddetta “guerra al terrore” ma all’interno dei quali milioni di persone hanno manifestato la loro contrarietà a questo tipo di risposta). E probabilmente sono state proprio le numerose menzogne utilizzate dagli stessi governi per giustificare l’intervento armato in Iraq, peraltro svelate pubblicamente e ammesse nei mesi scorsi dagli stessi responsabili delle amministrazioni statunitense e britannica, a suscitare la curiosità e a rafforzare la volontà di molti cittadini di esercitare il proprio diritto a conoscere la verità che sta alla base del dramma globale rappresentato dalla guerra e dal terrorismo. L’esercizio di tale diritto alla ricerca della verità dovrebbe ergersi a dovere per tutti coloro che operano nel campo dell’informazione e della comunicazione, attraverso la ricerca di fonti “altre” da quelle “impresse” (embedded) dai soggetti di potere che controllano (o cercano di controllare) e manipolano l’informazione, soprattutto in tempi di guerra, siano essi editori, esponenti di governi (ruoli che in alcuni casi anomali addirittura si sovrappongono), di eserciti o di organizzazioni illegali armate. A questo dovere hanno cercato di assolvere (con tutti i limiti derivanti dalla complessità delle tematiche affrontate) gli autori del Rapporto, ricercando e studiando interpretazioni dell’esistente poco citate dai maggiori organi di informazione ma non per questo meno interessanti e, soprattutto, basate su studi e analisi fondati su fatti, luoghi e dati. Non tanto perché queste fonti “altre” contengano l’assoluta verità, quanto piuttosto perché riteniamo importante farle conoscere quando sono serie e documentate, così da dare ulteriori elementi a chi intende non limitarsi a recepire esclusivamente l’informazione “ufficiale”, che troppo spesso ignora interpretazioni che risultano essere “scomode” o “fuori dal coro”. Nello specifico del paragrafo del Rapporto citato da Lenzi, le informazioni contenute non sono frutto della fantasia o di originali tesi interpretative degli autori bensì basate su fonti autorevoli, correttamente citate, quali, ad esempio: – Olivier Roy, direttore di ricerca al Centre National de la Recherche Scientifique (CNRS) di Parigi e autore di numerosi studi e saggi tra cui L’Islam mondialisé e Les Illusions du 11 septmbre: Le débat stratégique face au terrorisme (ed. Seuil, 2002); – Nafeez Mosaddeq Ahmed, studioso inglese autore di vari saggi tra cui Guerra alla libertà (Fazi Editore, 2002), Dominio (Fazi, 2003), dell’aggiornamento de Il libro nero degli Stati Uniti di William Blum (2003) e di Guerra alla verità (Fazi, 2004); – Lawrence Wright, autore e scrittore statunitense, collaboratore del The New Yorker oltre che membro dell’organizzazione indipendente Council on Foreign Relations; – Marc Sageman, membro del Foreign Policy Research Institute (Philadelphia), ex ufficiale della CIA e autore del saggio Understanding Terror Networks (University of Pennsylvania Press, 2004); – Richard A. Clarke, responsabile dell’antiterrorismo statunitense durante l’amministrazione Clinton e nei primi due anni dell’attuale amministrazione Bush; – Daniel Vernet, direttore delle Relazioni Internazionali al quotidiano “Le Monde”. E l’elenco potrebbe continuare a lungo, come dimostrano le ampie bibliografie indicate alla fine di ogni capitolo del Rapporto (compreso quello intitolato “ Guerre e terrorismi globali” oggetto dell’articolo di Lenzi). Estrapolare (certo, in buona fede) alcune frasi di un ragionamento complesso, nel tentativo scopertamente polemico di attribuirle alla CGIL, come fa sin dal titolo l’articolo de “Il Foglio”, anziché agli autori e alle fonti utilizzate e citate dagli estensori del Rapporto, porta a inevitabili semplificazioni quali: «si scopre una visione inedita della rete del terrore binladiano all’insegna del “sono cattivi ma non troppo”», come scrive Lenzi. In realtà, gli autori del Rapporto non intendono minimamente dare pagelle di buona o cattiva condotta a nessuno, ma semplicemente citare alcuni studi che si interrogano sulla natura della rete terroristica internazionale. Citando ancora il direttore del CNRS di Parigi, Oliver Roy, «Al Qaeda non sembra avere un calendario fondato su una precisa strategia politica (colpire a un dato momento allo scopo di influire sul corso degli eventi). Al contrario, la sua visione è apparentemente attivista e opportunista, per cui agisce in qualsiasi momento, tanto per mantenere un clima di terrore e dimostrare l’inefficacia di tutti gli interventi militari, dall’Afghanistan all’Iraq» (Le Monde diplomatique-il manifesto, settembre 2004). Dunque, anziché «cattivi ma non troppo» (cosa che non abbiamo mai scritto né pensato, perché, al di là di ogni analisi politica sul terrorismo e sui suoi effetti rimane il fatto obiettivo della responsabilità terroristica delle sanguinose stragi dell’11 settembre e dell’11 marzo) sarebbe corretto dire «opportunisti ma non troppo strateghi politici». Per quanto concerne gli attentati terroristici dell’11 marzo 2004 a Madrid, non è vero che «l’attentato c’entrava davvero poco» con le elezioni politiche, come ci attribuisce di sostenere Lenzi. Semplicemente sosteniamo che, se anche fosse stato progettato per indurre il governo spagnolo a ritirare le sue truppe dall’Iraq, nel caso il governo Aznar non avesse cercato di attribuire da subito con estrema certezza la strage all’ETA (cosa poi dimostratasi infondata) ma avesse invece dato la responsabilità al terrorismo islamico, probabilmente non avrebbe suscitato l’indignazione di gran parte della popolazione spagnola, sentitasi presa in giro, e magari non avrebbe perso le elezioni, rafforzando invece lo spirito di coesione nazionale contro il terrorismo (come hanno dimostrato Bush negli Stati Uniti, Sharon in Israele e alcuni altri governi a livello internazionale). Questo non per dilettarci nel “senno del poi”, ma per sottolineare che l’automaticità tra attentati e sconfitta di Aznar è dipesa soprattutto dall’atteggiamento del governo Aznar (come hanno commentato centinaia di osservatori internazionali) e, soprattutto, per confutare la tesi secondo cui Al Qaeda abbia una tale forza strategico-politica da indirizzare a suo piacere il corso degli eventi. Senz’altro ci prova, ma l’esito dipende poi da molte altre variabili. Il fatto poi che «nel contesto del mondo musulmano, la lotta contro la democrazia non rappresenta la preoccupazione primaria di Al Qaeda e, più in generale, della rete jihadista», ma la stessa Al Qaeda sia concentrata più sull’istituzione di teocrazie o califfati, non è una nostra tesi ma un ragionamento di Richard A. Clarke dettato dalla sua esperienza nell’antiterrorismo statunitense, che ci siamo limitati a citare come Lenzi può verificare nell’ultima riga di pag. 889. Infine, ciò che Lenzi definisce «la ciliegina sulla torta del Rapporto», cioè il fatto che esistano forti connivenze o alcuni interessi comuni tra reti terroristiche, servizi segreti, rappresentanti di vari governi e tutti coloro che traggono vantaggi da situazioni di guerra, sia essa civile, tra Stati o tra eserciti e gruppi combattenti. Si tratta di una “ciliegina” non poco appassita di una “torta” ormai mangiata e rimangiata innumerevoli volte: non è tanto lo studio di Nafeez Mosaddeq Ahmed (che citiamo nel paragrafo oggetto dell’articolo de “Il Foglio” e di cui invitiamo a consultare le note per constatare la mole di fonti utilizzate) a provarlo, quanto la Storia a dimostrare che il terrorismo ottiene sempre l’effetto di rafforzare chi si prefigge (almeno ufficialmente) di combattere e, proprio per questo, spesso è utilizzato, strumentalizzato se non addirittura manipolato. Il fatto che il terrorismo giovi “anche” ad alcuni governi per giustificare nuove norme repressive, azioni militari, iniziative geopolitiche, negazioni di diritti, abusi ecc. è evidente a tutti e non lo scopre certo il Rapporto. Nello specifico di Al Qaeda, poi, ciò che sostiene Ahmed e che noi citiamo è che le sue azioni sono drammaticamente utili su più fronti: alcuni governi possono proseguire l’attuale “guerra al terrorismo” (con le conseguenze fallimentari che sono sotto gli occhi di tutti); i fondatori dell’organizzazione terroristica ne garantiscono la sopravvivenza e se ne attribuiscono i tragici meriti; i piccoli gruppi militanti possono dare eco insperata alle loro azioni. Dunque, il terrorismo internazionale giova a molti (troppi) soggetti, come l’assurda “inafferrabilità” dei suoi leader e la storia stessa di Al Qaeda dimostrano. Sostenere ciò, può essere non condivisibile ma certo non è inesatto. Ragionare in questi termini sul terrorismo internazionale, citando peraltro fonti assolutamente autorevoli, non significa voler giustificare nessuno né tantomeno attribuire responsabilità certe e unilaterali. La questione è certamente molto complessa, ma proprio per questo riteniamo doveroso non rassegnarsi alle semplificazioni e alle interpretazioni fornite dalle troppe “veline” dell’informazione. Il vero problema di tutto ciò non è tanto “a chi giovano” guerre e terrorismi, quanto il dramma delle centinaia di migliaia di persone che ne sono vittime e il forte disagio di milioni di persone a cui le conseguenze delle guerre e dei terrorismi “non giovano affatto”. Ragionare su questo e sul fatto che le strategie e le azioni finora messe in atto hanno semplicemente acuito il circolo vizioso guerra-terrorismo, ledendo gravemente molti diritti fondamentali, è il senso del capitolo citato da Lenzi. Così come il fatto che un “altro mondo” e un altro modo di risoluzione dei conflitti da quello attuale sia non solo possibile ma ormai necessario è, più in generale, il senso del Rapporto sui diritti globali, e del contributo alla riflessione e all’informazione che autori e promotori di questa iniziativa editoriale cercano di dare.

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