Referendum in Crimea. A un passo dall’incendio
La caricatura di un referendum sancirà oggi il ritorno della Crimea alla Russia, ma sono le ore della vigilia ad aver dimostrato con quanta facilità, a forza di giocare con il fuoco, l’incendio della guerra possa investire l’Europa. Sulla Rete sono apparsi appelli alla resistenza armata non si sa quanto autentici. L’esercito regolare ucraino ha spostato truppe verso Est mentre quello russo si è mosso al di là del confine. Uno scontro diretto tra soldati ucraini e forze russe è stato sfiorato a Nord dell’accesso alla penisola contesa, quando soldati senza mostrine hanno preso il controllo di un gasdotto. Si è temuto che fosse giunto il segnale che tutti in Occidente paventano: l’inizio di una invasione dell’Ucraina orientale da parte delle forze russe.
E anche se così non è stato, l’acuta tensione che si è diffusa con la rapidità di una scarica elettrica in tutte le cancellerie occidentali ha confermato che la crisi ucraina si divide ormai tra alcuni eventi sgraditi ma prevedibili, e altri invece ignoti e potenzialmente esplosivi. Esistono pochi misteri sull’esito del referendum, tanto irregolare nella forma quanto rispondente alla volontà della maggioranza russa in Crimea. È scontato che il risultato sarà riconosciuto in Russia e dichiarato illegittimo a Kiev e in Occidente. Si sa che la risposta euro-americana arriverà subito, con sanzioni di media severità perché quelle estreme saranno tenute di riserva.
Di riserva per cosa? Per quello che non conosciamo, appunto: le scelte di Putin. Il capo del Cremlino da tempo è convinto che la Russia debba creare una cintura di sicurezza attorno a sé composta da Stati amici o neutrali. Tanto più che dopo la fine della Guerra fredda la Nato è avanzata (contro i patti, dice Gorbaciov) fino a toccare le frontiere russe. La sollevazione di piazza Maidan mentre Putin era bloccato a Sochi viene giudicata dai «suoi» servizi una manovra dei colleghi occidentali. L’indispensabile Ucraina deve per questo considerarsi perduta? Intanto riprendiamoci la Crimea. E poi…
Ecco lo snodo decisivo. A Mosca sembrano rivaleggiare due scuole di pensiero. La prima: interveniamo anche nell’Ucraina orientale, tanto le sanzioni occidentali arriveranno comunque. Poi tratteremo e proporremo una federazione-cuscinetto. La seconda: non possiamo permetterci di rompere con l’Occidente, il gas lo dobbiamo vendere, non vogliamo che siano gli Usa a sostituirci come fornitori e non vogliamo finire nelle braccia della Cina. Dunque sì alla trattativa e sì al gruppo di contatto, ma la Crimea resta con noi. È probabile che Putin preferisca la prima opzione e rifletta sulla seconda. L’Occidente dovrà castigarlo comunque. Ma tra le due ipotesi c’è di mezzo una possibile guerra civile, sotto gli occhi di una Europa a pezzi.
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