Poletti, il Sacconi pacioccone
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Alla faccia delle Coop. E chi lo avrebbe mai detto che un ministro con un pedigree comunista, emiliano doc, cresciuto tra filari di vigne, tagliatelle e una carriera in Legacoop potesse nascondere un animo sottilmente «sacconiano». Per carità, ben dissimulato da un’aria paciosa e pacioccona. Ecumenica: il mantra di Giuliano Poletti, da quando si è insediato al Lavoro, è che «nessun italiano dovrà più vivere nella condanna della disoccupazione: tutti dovranno avere qualcosa da fare».
Un sogno che parte dalla sua bella Romagna, dal casolare vicino Imola dove è nato e dove le cronache locali raccontano del lavoro iniziato a 6 anni, accanto alla sorella Irma, oggi benzinaia: «Si andava a pulire la stalla, a dar da mangiare alla scrofa che aveva appena partorito i maialini», ricorda lei. Una speranza, per i precari italiani… Ma siamo sicuri?
Il sogno si infrange dopo lo show di Renzi, due sere fa, a Palazzo Chigi: super Matteo lascia la parola ai ministri suoi comprimari, il fido Delrio, l’immarcescibile Lupi, il freddo Padoan, Poletti. L’ex plenipotenziario delle Coop, spiegando il decreto sui contratti a termine e l’apprendistato, rivela un’anima da pragmatico imprenditore, derubricando i diritti e le tutele a «impedimenti burocratici», «lungaggini» di cui è bene liberarsi.
Ma per favorire chi? Per giustificare l’allungamento da 1 anno a 3 del contratto a termine senza più causale, Poletti dice: «Ma, sapete, la causale era il principale motivo utilizzato dal lavoratore per fare causa all’azienda: siccome capita spesso che non venga rispettata, allora poi scatta il tempo indeterminato. Questo induce gli imprenditori a non assumere». Certo, ministro, sarà pure vero: ma quindi il suo lavoro è cancellare le tutele?
Stesso discorso per gli apprendisti. La «semplificazione» poletto-renziana consiste nel «togliere i vincoli, come l’obbligo formativo e la validazione presso la direzione provinciale del lavoro». Lungaggini che frenano le assunzioni, secondo il ministro, come lo stesso obbligo di stabilizzarne di una percentuale: «Finisce sempre che si licenzia l’apprendista un mese prima della fine del contratto». Ma insomma, un apprendistato svuotato da obblighi formativi e da una qualche speranza di assunzione, ci spieghi Poletti a cosa serve: mette in mano alle imprese (e anche alle sue amate Coop) l’ennesimo contrattino precario, che non ha alcuna ragione in sé se non il risparmio? Benvenuto, ministro Coop.
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