«Renzi porterà il paese contro il muro della Bce»
«Un aspetto che lascia perplessi in questa “svolta” di Matteo Renzi – afferma Luciano Gallino – è che si promettono 80–85 euro in più al mese a persone che già lavorano mentre sarebbe stato più equo ed efficiente spenderli per creare occupazione». Per l’autore di uno dei libri più acuminati contro l’austerità («Il colpo di stato di banche e governi») e uno dei «garanti» della lista «Altra Europa con Tsipras» alle europee, «è chiaro che 10 miliardi per 10 milioni di persone suona bene, e porterà voti. Ci sono anche misure positive per l’edilizia scolastica, ma se si stanziassero 10 miliardi di euro per un milione di posti di lavoro l’impatto sull’economia sarebbe più forte. Renzi avrebbe dato un chiaro segnale contro lo scandalo della disoccupazione che in Italia riguarda quasi 3 milioni e mezzo di persone. La disoccupazione è la peggiore ferita per una persona. Ma di tutto questo non c’è la minima traccia».
Bce e commissione Ue vogliono il taglio del debito e del deficit. Renzi sta andando verso un muro?
Direi di si, ma il problema è che ci sta andando un intero paese. L’idea di tagliare 32 miliardi alla spesa pubblica con la spending review aumenterà le possibilità di un disastro greco anche in Italia. Nel 2013, lo Stato italiano ha incassato meno di 520 miliardi tra entrate tributarie e extratributarie, ma ne ha spesi a fini pubblici 435. 95 li ha spesi in interessi per far fronte al debito. Se si tagliassero 32 miliardi avremmo un bilancio di entrate che superano i 530 miliardi e per spese importanti, per strade, maestri o medici meno di 400. C’è uno Stato che ingoia ma non restituisce, perchè ha l’onere del debito pubblico.
Cosa accadrà con il Fiscal Compact nel 2015?
L’impegno di tagliare il debito di un ventesimo l’anno per portarlo dal 133% al 60% è uno scoglio che non si può affrontare. Stiamo entrando in una situazione rispetto alla quale la Grecia è un’isola felice. L’Italia non è in grado di trovare 50 miliardi di euro all’anno da tagliare. È una cosa inimmaginabile fare scendere il debito da più di 2 mila miliardi a 900. Accadrà quello che già accaduto altrove: tagli alla sanità, i bambini affamati, la povertà. La porta che abbiamo davanti è di ferro. O la si apre per altre strade o ci si sbatte contro.
Perché la riforma Renzi del lavoro è sbilanciata sul lato delle imprese?
È una questione di fondo. Da parte dei politici, e dei governanti, non è mai stata fatta un’analisi sulle cause strutturali della crisi economica. Il lavoro precario è una filiazione diretta della finanziarizzazione dell’economia. L’obiettivo è: massima libertà dei capitali, elasticità della produzione, creare lavoro usa e getta. Rischiamo lo scenario inglese dei «contratti a zero ore»: chi è assunto, non sa se lavorerà per quanti giorni e per quante ore. Dev’essere sempre mobile, saltare da un lavoro all’altro. Tra l’altro è un grave danno economico. In qualunque professione l’esperienza è fondamentale.
Dopo il 1997 con Prodi e Treu, il centro-sinistra introduce la precarietà e rimanda gli ammortizzatori sociali ai tempi lunghi di una legge delega. Qual è il motivo di questa ferocia?
È semplice, purtroppo. Dopo il crollo dell’Urss la maggior parte della «sinistra», e di chi aveva lavorato con quella parte del mondo, ha fatto di tutto per far dimenticare le vecchie appartenenze e ha cambiato campo, facendo un salto a destra. Una minoranza in questo paese si è alleata con gli interessi delle classi dominanti, con quello che definisco il partito di Davos. Il centrosinistra ne è stato un buon interprete. Basti pensare alla riforma delle pensioni.
Le polemiche con Flores e Camilleri hanno indebolito la Lista Tsipras?
Mi rattrista che si sia sviluppata una situazione che di politico non ha nulla. Se ci fossimo divisi sulla patrimoniale, o sulla lotta al partito di Davos, sarebbe stato quasi meglio. Qui ci si è imputati sulla composizione della lista da cui voglio restare lontano. Ma le posso dire che, con gli altri garanti e tantissime altre persone, andremo avanti. E parleremo di questioni con un fondamento politico.
Stefano Rodotà in un’intervista al nostro giornale ha parlato di un referendum contro il pareggio di bilancio in Costituzione. Può essere uno strumento utile?
È un’ottima notizia. Se il primo firmatario sarà Rodotà, io sarò il secondo. Questa norma è una prova di follia e di imbecillità economica. Questi incompetenti che ci governano hanno scelto di metterlo in costituzione, ma per l’articolo 4 del trattato sul Fiscal Compact non era obbligatorio. I nostri sciagurati hanno scelto la strada peggiore. Se avessero fatto una legge, sarebbe stato più semplice uscirne. Il referendum lo caldeggerei molto, se la lista Tsipras l’appoggiasse. Questo può essere un passo molto concreto per aprire una discussione sui vincoli dei trattati europei. L’alternativa è spaccare tutto e uscire dall’euro. Milioni di persone andranno per strada. È la soluzione dei nazionalisti di destra.
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