F35 e non solo, tagliare la casta militare
Tra le spese pubbliche da tagliare che in questi giorni sarebbero finite secondo alcuni giornali sotto la scure del governo Renzi, pare che siano rientrati anche i caccia F-35. Non sappiamo se queste anticipazioni e questi retroscena troveranno poi una concretizzazione ma la loro stessa esistenza ci fornisce, fin da ora, un’indicazione politica interessante e che val la pena sottolineare. Le spese per acquisto di armamenti forse non sono più intoccabili. Da cosa nasce questa idea all’apparenza strampalata e non realistica? Dal fatto molto semplice che, per la prima volta, un’ipotesi di taglio di questa natura non sia stata avanzata solo dalle campagne pacifiste e non abbia visto un’immediata levata di scudi, reazione invece sicura per un passato abbastanza recente.
Intendiamoci: ciò non significa che siano cresciute esponenzialmente le probabilità di un concreto taglio del programma F-35 o che ci sia un cambiamento reale e innovativo nella politica di spesa militare dell’Italia. Ma stiamo comunque parlando di una modifica di scenario non banale. Pare davvero che la politica, grazie anche all’azione delle campagne disarmiste, stia seguendo l’opinione pubblica nel comprendere come gli investimenti armati possano costituire un fardello piuttosto che un’opportunità di crescita per il nostro Paese. Certamente in tale presa di coscienza, che si sta manifestando gradualmente, ha giocato un ruolo preminente la crisi economica attuale. Ma non basta questa evidenza per spiegare tutto come si trattasse di una causa unica: in altri tempi anche un’acuta sofferenza economica diffusa non avrebbe di certo comportato critiche così ampie e accettate alle spese armate. Partire da questa consapevolezza ci permette di cogliere con un significato più profondo anche i numeri relativi al programma Joint Strike Fighter. Numeri, dati, analisi che recentemente sono stati rilanciati dal lavoro informativo della campagna «Taglia le ali alle armi».
Ma prima di entrare in un certo dettaglio, occorre completare il ragionamento più di scenario che abbiamo iniziato. Perché il programma di acquisto dei cacciabombardieri d’attacco F-35 possiede risvolti molteplici che non ne permettono la chiusura in una questione tecnica marginale, che al massimo può riguardare solo i pacifisti. In questa partita sono in gioco anche il modello di Difesa del nostro Paese e le sue politiche complessive di spesa militare, e più in generale l’impostazione strategica che guida le scelte economico-finanziarie del governo e l’impiego delle risorse pubbliche in una fase di crisi economica e sociale drammatica e che sta colpendo la gran parte dei cittadini italiani. Ma non solo. Le ripercussioni di questa scelta impattano in maniera strategica sul posizionamento internazionale del nostro Paese. Non per nulla diverse critiche sono state avanzate verso il progetto F-35 e alla sua valenza divisiva in ambito europeo, in particolar modo da ambienti con caratterizzazioni non certo pacifiste o disarmiste.
C’è poi l’aspetto dell’impiego delle risorse, ed è ovvio come ciascuna componente acquistata di un F-35 sottragga alle casse pubbliche fondi che potrebbero essere utili per affrontare le vere priorità del Paese. Quelle con le quali i giovani, gli studenti, i disoccupati, i lavoratori in cassa integrazione, gli abitanti di territori abbandonati all’incuria si confrontano ogni giorno: mancanza di occupazione, disagio abitativo, servizi sociali insufficienti, territori a rischio idrogeologico. Secondo le più recenti stime di «Taglia le ali alle armi» con lo stanziamento medio annuale previsto per i prossimi tre anni (650 milioni di euro annuali) si potrebbero ad esempio creare 26000 posti di lavoro qualificati, o mettere in sicurezza circa 600 scuole all’anno oppure non tagliare ma aggiungere risorse in più al Servizio Sanitario Nazionale rafforzando anche i servizi di medicina territoriale H24.
In fin dei conti quindi quello che è più urgente e necessario fare è cambiare paradigma. Per questo, al di là e oltre gli F-35, il governo Renzi avrebbe subito un bel gruzzolo di risorse da mettere a disposizione delle proprie politiche attive: nel rapporto Sbilanciamoci per il 2014 abbiamo evidenziato la facile individuazione di circa 4,5 miliardi di minor spesa. Come? Con riduzioni di privilegi ormai obsoleti del personale delle Forze Armate, tagli drastici agli acquisti militari e cancellazione delle missioni all’estero di chiara valenza aggressiva. Soldi disponibili subito: perché non farci un pensiero?
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