Ucraina, tra i fantasmi della Storia così la rivoluzione risveglia il passato
KIEV. GLI parlo dei fantasmi della Storia in cui mi imbatto nella crisi russo- ucraina e il professore di Letteratura dell’Università Taras Shevcehnko mi interrompe. Per lui non ci sono fantasmi, né ombre, né incubi, né rigurgiti del passato. Ci sono minacce.
VERE. Concrete. Si stupisce che io mi perda alla ricerca dei fantasmi e non veda i concreti segni di guerra. Quali? Senza esitare lui cita le manovre russe al confine orientale ucraino. E ancora le truppe sempre russe in Crimea. Di seguito, senza prendere fiato, ricorda i dodici F16 mandati dagli americani in Polonia dove di quei jet ce n’erano già quarantotto. E poi i sei F15 in ricognizione sulle Repubbliche baltiche. Non vedo quel che accade? Per il professore quelli, e altri ancora, sono autentici rumori di guerra. Lui li sente e scuote la testa, compatendomi,
quando insisto e gli replico che anche lui vede i fantasmi della Storia.
La quale più che ripetersi ti insegue nella memoria quando gli avvenimenti che la ritmano hanno qualche somiglianza con quelli di un tempo tragico e remoto, rimasto inchiodato nelle memorie. In Crimea, dove la Russia si sta annettendo una penisola con due milioni di abitanti, è in corso soltanto il primo atto. Il secondo, a breve tempo, si svolgerà nelle province orientali. Il pronostico è che Putin si prenderà presto anche quel pezzo di Ucraina. È quel che pensa il professore, per il quale la Russia ha bisogno per sua stessa natura di espandersi.
Basta allungare la mano per rianimare fatti di settanta, ottant’anni fa. A volte hai questa impressione. Pensi che quei fatti pesino sul presente al punto da farli ripetere. Nelle immaginazioni esaltate, passato e attualità tendono a confondersi.
Nessuno ignora che a Berlino il cancelliere è una signora che si chiama Angela Merkel, e non più da tempo un uomo che si chiama Adolf Hitler; e che a Mosca al posto di Stalin c’è Vladimir Putin. Ed è chiaro che l’equazione geopolitica del momento, sul nostro Vecchio continente, nonostante gli F16 in Polonia e gli F15 sul Baltico e le manovre lungo i confini, non nasconde un conflitto armato, ma piuttosto commerciale. A suon di dollari, di euro e di gas. E di frustrazioni.
Eppure c’è chi rinfaccia ai russi, e di riflesso ai filo russi ucraini, la carestia che fece milioni di morti, come se fosse accaduta ieri. Invece è quella provocata, in particolare tra il 1932 e 1933, dalla campagna di Stalin contro i kulaki, coltivatori diretti, grandi e piccoli, espropriati, deportati, uccisi, perché l’agricoltura stava per essere collettivizzata e i contadini dovevano diventare operai dell’industria. Quella carestia ha un nome in ucraino, holodomor, ed è ricordata come un olocausto. Domenica scorsa i russofobi si sono raccolti sulle piazze, davanti alla statua del loro poeta, Taras Shevchenko, nato duecento anni fa e considerato uno dei grandi cultori della lingua ucraina. E la lingua nazionale per i patrioti è come una trincea. Anche se poi molti alternano russo e ucraino in ufficio e in famiglia. Lo stesso giorno i filorussi hanno reso omaggio alle statue di Lenin, non come leader comunista della rivoluzione d’ottobre ma come grande russo (che non mise mai piede in Ucraina). Una sua statua, a Kiev, proprio di fronte al mio albergo, è stata decapitata.
Se gli uni rinfacciano la carestia del ‘32-’33 agli avversari, gli altri chiamano “bandera” i russofobi. Non è un complimento. Stepan Bandera è stato il capo di un movimento per l’indipendenza ucraina, il cui carattere sciovinista sconfinò in operazioni xenofobe e antisemite. I suoi uomini collaborarono con i nazisti e si resero colpevoli di massacri di ebrei e polacchi. Due suoi fratelli morirono però ad Auschwitz e lui passò anni nelle prigioni tedesche perché Hitler non accettò mai l’Ucraina indipendente da lui dichiarata. Fu ucciso, pare dal Kgb, nel 1959 a Monaco di Baviera, dove era rifugiato sotto un altro nome, lasciando un ricordo pieno di ombre per i crimini commessi dai suoi. Nel gennaio scorso una folla enorme ha celebrato il 105esimo anniversario della sua nascita. Bandera è un controverso eroe nazionale, esaltato non solo dagli estremisti, ma la devozione che suscita crea anche un certo fastidio. E perplessità. È citando il suo nome che i filorussi, ma soprattutto la sfacciata propaganda di Mosca, accusano di “fascismo” o addirittura di “nazismo” la rivoluzione di Majdan.
Sulla Piazza le bandiere con i colori del movimento di Bandera sono numerose. Sventolano sulle tende dei gruppi di autodifesa, rimasti in servizio per vegliare sulla rivoluzione. Tra i gruppi ultranazionalisti i fantasmi del passato sono numerosi. Svoboda (Libertà) che conta 36 deputati su 450 è una formazione nata nel mezzo degli anni Novanta come Partito socialnazionale di Ucraina. Le sue radici affondano tuttavia nella Seconda guerra mondiale quando nazionalisti ucraini e nazisti s’incontrarono sul comune terreno dell’anticomunismo e dell’antisemitismo. Nell’aprile 1943, il dottor Otto von Wächter, comandante nazista della Galizia, nome dell’Ucraina occidentale, trasformò la Prima divisione dell’esercito nazionale ucraino in una divisione SS, battezzata “Divisione Galizia”. Più di sessant’anni dopo il partito Svoboda ha dimostrato una particolare attenzione a quella unità. Nell’aprile del 2013 Oleg Pankiewicz, un suo deputato, ha celebrato il settantesimo anniversario della formazione di quella divisione SS in una chiesa nelle vicinanze di Leopoli. Ronald Lauder, presidente del Congresso ebraico mondiale, ha espresso il suo sdegno al patriarca per quella cerimonia solenne, cui partecipavano giovani con la svastica disegnata sugli elmetti, che facevano il saluto nazista e sparavano raffiche di mitra in aria. La celebrata divisione Galizia partecipò con zelo all’eliminazione degli 800mila ebrei ucraini. Il leader di Svoboda, Oleh Tyahnybok, un medico di 45 anni, è stato spesso sorpreso mentre esprimeva propositi razzisti. È adesso alleato del Partito Patria, di cui Yiulia Timoshenko è il leader, ma del quale, essendo Yiulia ammalata, è responsabile il primo ministro, Arsenij Yatsenjuk. Da quando partecipa al governo Svoboda adotta un linguaggio molto più moderato.
Un recente conoscente di Kiev mi ha rimproverato perché parlo dei fantasmi ucraini e non di quelli ungheresi, tedeschi, italiani o altri ancora. Qui i fantasmi sono stati risvegliati dalla rivoluzione. L’Hotel Dnipro, incollato alla Piazza, è popolato di giovani, alcuni indossano tute mimetiche, altri abiti neri attillati, da Fantômas. Hanno mazze d’acciaio o di legno appese alla cintola, qualche fionda al collo (invece dei sassi lanciano biglie d’acciaio), e alcuni esibiscono pistole legate alla coscia. Quando escono all’aperto si mettono la maschera nera. A volte marciano al passo e cantano. Occupano un centinaio di camere dell’Hotel e nelle cantine ci sarebbero le armi, quelle vere. Sono gli uomini
del Settore destro e il loro capo è Dmitrj Yarosh, 42 anni, diplomato delle scuole magistrali, ma soprattutto distintosi nei tre mesi della Majdan per la sua decisione nell’affrontare la polizia, e fornire unità ben addestrate. Si può dire che Yarosh ha dato un piccolo esercito alla rivoluzione. Un esercito che continua a contare. È sempre in stato d’allerta sulla piazza, veglia sul comportamento del governo, ed è pronto ad affrontare i russi nel caso invadessero l’Ucraina. La Crimea è ormai perduta e non suscita grandi passioni. Ma i russi non si accontenteranno di quella penisola. Dmitrj Yarosch ne è convinto, ed è pronto per il prossimo confronto. Il Settore destro è la punta avanzata dell’estremismo ucraino. Si riallaccia al passato sciovinista e razzista. Ma conta per lo più dei giovani. La cui memoria non rianima fantasmi.
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