Condanne definitive per il crac Parmalat

Condanne definitive per il crac Parmalat

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MILANO — La Cassazione mette la parola fine alla vicenda giudiziaria del crac Parmalat confermando nella sostanza le condanne a Calisto Tanzi & C. mentre a Collecchio – oggi terra di conquista per i francesi di Lactalis – continua il braccio di ferro tra i nuovi padroni francesi e i soci di minoranza.
La Corte Suprema ha convalidato la sentenza della Corte d’appello di Bologna per il fallimento da 14 miliardi che ha travolto oltre 100mila risparmiatori. L’ex patron della società ha ottenuto, grazie alla prescrizione del reato di associazione a delinquere, un piccolo sconto di cinque mesi con la pena rivista a 17 anni e 5 mesi di reclusione. Sforbiciata per lo stesso motivo la condanna del suo braccio destro Fausto Tonna (9 anni e sei mesi) e per gli altri imputati minori.
Fatti i conti con il passato, Parmalat può ora concentrarsi sul presente. Meno drammatico degli anni del crac, ovvio, ma contraddistinto da un paio d’anni dalle polemiche tra i soci minori (guidati dal fondo Amber) e il nuovo azionista di controllo transalpino. Accusato di essersi messo in tasca metà del tesoretto raccolto dall’ex ad Enrico Bondi con le cause a banche e revisori grazie all’autovendita a Collecchio delle attività Usa di Lactalis e di gestire la società come se fosse cosa privata.
Sfida culminata nella recente sentenza del Tribunale di Parma che ha detto no all’azzeramento del cda chiesto dai pm ma ha mosso pesanti accuse al Consiglio contestandogli «molteplici profili di irregolarità (….) sistematicamente violativi della disciplina sui conflitti di interesse».
I Besnier si difendono – lo hanno fatto anche ieri – con la forza dei numeri. Parmalat ha chiuso i conti 2013 con 221 milioni di utili contro gli 83 dell’esercizio precedente e un dividendo rivisto al rialzo a 0,029 euro per azione. Risultati che potrebbero essere battuti quest’anno malgrado i primi due trimestri di bilancio scontino il calo dei consumi e l’andamento del prezzo del latte.
Il cda fiume di ieri (che ha costretto al rinvio della conference call con gli analisti) è stato con ogni probabilità monopolizzato dalla discussione sull’ultima iniziativa dei Besnier: la revisione dello statuto della società per limitare il numero dei consiglieri di minoranza. L’operazione è stata preparata con cura nelle scorse settimane e – stando alle indiscrezioni – ha già suscitato parecchie perplessità sia in Consob che presso i magistrati che da tempo hanno acceso un faro su Collecchio.
Il primo atto è andato in scena il 25 febbraio scorso quanto tutti gli esponenti del Consiglio eletti da Lactalis hanno dato a sorpresa le dimissioni. Il motivo? «Per consentire alla società di operare in un clima sereno e costruttivo». Venendo incontro, sembrava di capire, alle richieste dei pm che da mesi contestano i conflitti d’interesse del cda.
Qualcuno aveva ventilato il sospetto che la mossa, meno nobilmente, fosse un modo per tagliare le unghie ai consiglieri di minoranza. Ipotesi che pochi giorni dopo, grazie all’intervento della Consob, si è trasformata in realtà: i Besnier – su richiesta di via Isonzo – hanno confermato di aver richiesto una modifica dello Statuto che consenta in teoria di ridurre (probabilmente a uno) il numero dei rappresentanti degli altri soci in cda. Impedendo al loro rappresentante, per esempio, di convocare il Consiglio. Si tratterebbe di una delle prime volte a Piazza Affari in cui si torna indietro sul fronte delle garanzie dei piccoli azionisti. La richiesta andrà ai voti alla prossima assemblea.


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