Una Carta per restituire dignità ai consumatori di sostanze

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Katia Bonchi, il manifesto

Una carta dei diritti delle per­sone che usano sostanze. È l’obiettivo che si è dato il labo­ra­to­rio «Par­lano i dro­gati», orga­niz­zato nell’ambito della due giorni di dibat­tito geno­vese sulle dro­ghe. «Per­sone» prima che con­su­ma­tori per­ché il punto di par­tenza è resti­tuire una dignità a chi troppo spesso è rele­gato ai mar­gini. E per la prima volta i «tos­sici» hanno preso la parola in una sede iper-istituzionale (sep­pur chiusa alla stampa per que­stioni di riser­va­tezza) come il salone di rap­pre­sen­tanza di Palazzo Tursi per con­fron­tarsi sul tema dei diritti.

«La carta è un per­corso col­let­tivo e oriz­zon­tale avviato in rete un paio di set­ti­mane fa coin­vol­gendo le per­sone che usano sostanze, ma anche atti­vi­sti ed esperti» spiega Andrea Fal­la­rini dell’Itardd, rete ita­liana per la ridu­zione del danno. Dignità alle per­sone anzi­tutto e poi depe­na­liz­za­zione dell’uso delle sostanze: «Prima di ogni discorso che riguardi la lega­liz­za­zione a noi inte­ressa che chi con­suma sostanze non debba subire san­zioni o tan­to­meno entrare nel cir­cuito penale». La carta chiede espli­ci­ta­mente che le poli­ti­che sulle dro­ghe in Ita­lia siano final­mente incen­trate non più sul proi­bi­zio­ni­smo ma sulla ridu­zione del danno. In quest’ottica, per quanto riguarda la can­na­bis una delle pro­po­ste riguarda la spe­ri­men­ta­zione dei Can­na­bis social club. Dif­fusi in molti Paesi euro­pei, in Ita­lia ne è stato creato uno spe­ri­men­tale in Puglia esclu­si­va­mente ad uso tera­peu­tico: «Si tratta di asso­cia­zioni o coo­pe­ra­tive di per­sone che si riu­ni­scono per auto­pro­durre ed è l’unico per­corso che per­mette di auto­re­go­lare il con­sumo per­ché la quan­tità che viene pro­dotta la si decide a priori, men­tre per esem­pio se il modello dei cof­fee shop è senza auto­re­go­la­men­ta­zione per­ché l’unico limite del con­su­ma­tore sono i soldi che ha in tasca» Anche sulle dro­ghe pesanti la dire­zione deve essere quella della ridu­zione del danno, come già avviene in buona parte dell’Europa, dalla Sviz­zera all’Olanda, dal Canada alla Spa­gna: «Il modello delle stanze del con­sumo, con sirin­ghe e luo­ghi igie­ni­ca­mente puliti dove con­su­mare sostanze ed avere un even­tuale coun­sel­ling. sta otte­nendo buoni risul­tati e vor­remmo vederle spe­ri­men­tate anche qui in Italia».

Sul ruolo delle Comu­nità ovvia­mente i distin­guo sono enormi: «Ten­dere esclu­si­va­mente e con qual­siasi mezzo all’astensione dai con­sumi è una pra­tica nega­tiva. Nella mag­gior parte dei casi chi subi­sce trat­ta­menti coer­ci­tivi nelle comu­nità quando esce e magari ’sba­glia’ vive que­sta caduta in modo dram­ma­tico. Ci sono invece per­sone per cui l’obiettivo può e deve essere più sem­pli­ce­mente un uso più con­sa­pe­vole con­trol­lato delle sostanze rispetto a prima».

In mat­ti­nata la pla­tea di Tursi è stata scal­data dall’intervento del pro­fes­sor Peter Cohen, incen­trato sul «diritto alla dipen­denza». «È un approc­cio molto radi­cale – com­menta Fal­la­rini – ma che deve far riflet­tere sulla neces­sità di accet­tare le pro­prie dipen­denze senza demonizzarle».

«Ognuno ha il diritto di auto­re­go­la­men­tarsi con l’informazione e il sup­porto giu­sto» dice Giu­liano che insieme a Fré­dé­ric e ad altri tre amici «con­su­ma­tori» ha aperto un blog per dia­lo­gare soprat­tutto con le gio­vani gene­ra­zioni. Un luogo vir­tuale «senza bar­riere» lo defi­ni­scono gli autori, che parte dal pre­sup­po­sto dell’autodeterminazione, ma anche della neces­sità che il con­sumo sia con­sa­pe­vole a par­tire dalla dif­fe­renza tra le dro­ghe e dalle con­se­guenze del loro uso.

«Il primo passo deve essere la pre­ven­zione – dice Fré­dé­ric – anche per­ché i ragazzi cre­dono sem­pre di sapere tutto. Lo pen­sa­vamo anche noi ma non è così. Per que­sto con la nostra lunga espe­rienza di user vogliano offrire dia­logo e supporto».

Indif­fence buster, que­sto il nome del blog nato da un paio di set­ti­mane: «Vogliamo acchiap­pare l’indifferenza che cir­conda i tos­si­co­di­pen­denti» dice Giu­liano. «Siamo stufi di essere con­si­de­rati dei fan­ta­smi e vogliamo poter dire la nostra». Anche per­ché l’indifferenza spesso uccide: «A Torino dove viviamo — rac­conta Fré­dé­ric — ci sono stati di recente 7 morti per over­dose e 18 per­sone sal­vate in extre­mis, ma visto che si tratta di tos­sici nes­suno sem­bra voler sapere o capire cosa stia suc­ce­dendo. E’ il momento di uscire dall’isolamento in cui la società ci ha relegato».



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