La bandiera russa sul Parlamento di Crimea

La bandiera russa sul Parlamento di Crimea

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Francesco Battistini, Corriere della Sera
SINFEROPOLI (Ucraina) — Un braccio esce da una finestra del terzo piano del Parlamento, a metà mattina, e mostra l’arma automatica alla piazza piena di cosacchi: l’appoggia, agita il pugno. Fischi e applausi, sventolano i tricolori panslavi coi nastrini neroarancio della guerra al nazismo: «La Crimea è di Mosca!». Da un megafono, il capo della polizia chiede che cosa vogliano: «Non siamo autorizzati a negoziare o a fare richieste!…». A due giornalisti è consentito entrare: «Ma senza video! E solo se non parlano ucraino!». Guerra freddissima. Ucraina frozen. Le ombre russe sono spuntate alle cinque del mattino. Scivolate lungo i muri della via Karl Marx, dov’è la pizzeria Celentano. Hanno puntato le armi sui pochi poliziotti di turno e li hanno fatti scappare, veloci. Nel cortile, han messo faccia a terra gli squatter col colbacco che stavano preparando le barricate per la difesa del Parlamento autonomo di Crimea: «Non abbiate paura — hanno sussurrato in russo —, siamo dei vostri…». Poi han tirato giù le porte, si sono piazzati all’imbocco del corridoio grande della Rada. Coi mefisti, le tute dei corpi speciali russi, le granate stordenti. Staccando i telefoni, scollegando i pc, disattivando il sito web. «Questi non sono dilettanti», è ancora ammirato Daniv Bunzen, che s’è arreso subito: «All’inizio temevo fossero gli americani o i fascisti di Kiev. Invece sanno cosa fare. Non so chi li manda, ma so che nessuno se li aspettava».
Chi sono? Russi o amici dei russi. Una sporca cinquantina d’arditi che fa rumore neanche fosse l’intera Armata rossa. Occupano un palazzo della Crimea, il più importante, ed è come se l’avessero invasa tutta. Issano una bandiera russa ed è come se ammainassero quella della nuova Ucraina che a Kiev s’è appena data un nuovo governo, inviso a Mosca, con un giovane premier molto amico degli americani. Che beffa. «Ecco svelato il piano di Mosca!», sbotta Rifat Chubatov, il leader dei tatari musulmani che mercoledì aveva assediato la Rada. Lui è sicuro: i 150 mila soldati e i 90 aerei e i 120 elicotteri e gli 880 tank e le 80 navi e i 1.200 mezzi d’appoggio, i parà e i marine mobilitati dai russi per le grandissime manovre alla frontiera, sono solo l’assaggio. E i blindati russi sorpresi ieri mattina a dieci chilometri da Sinferopoli, e con grande irritazione ricacciati dagli ucraini nelle basi sul Mar Nero, sono solo pedine d’un «gioco molto pericoloso» (monito della Nato) che Putin sta tentando per recuperare le perdute terre di confine. Lo scacco è ai nuovi re: con simbolico tempismo, il commando di Sinferopoli conquista quel Parlamento locale che mercoledì non aveva osato votare l’addio a Kiev e lo costringe a ranghi ridotti, in una frettolosa sessione del pomeriggio, a fissare un referendum sulla totale autonomia per il 25 maggio e ad eleggere un nuovo premier che considera «Yanukovich il legittimo presidente del Paese». «Non accetteremo una secessione — è la risposta del neopremier di Kiev, Arsenij Yatseniuk —: la Crimea è stata e sarà sempre parte dell’Ucraina». «Ogni movimento delle truppe russe sarà considerato un’aggressione militare», dice il neopresidente Oleksandr Turcynov, prima di prendere un aereo e scendere nella penisola a salvare l’unità.
La quasi guerra di Crimea è già questo silenzio che invade le strade di Sinferopoli più dei russi mascherati. Non circola un’auto. Sotto una neve leggera, branchi di cani bradi pattugliano i negozi chiusi, i caffè sbarrati, i pochi passanti. Tutta l’area intorno al Parlamento è chiusa dalla polizia, sorvegliata dai militari. L’eco, sono solo i cori russi che tentano la loro piccola Maidan e fanno della contro-piazza e della Rada il loro accampamento. «A Kiev c’è stato un golpe — dice Iaroslav Ponomarov, 58 anni, reduce delle campagne sovietiche in Afghanistan —. La Russia ha sempre dato tutto alla nostra gente ed è giusto che ora chieda rispetto». Lui vive poco lontano dalla base della flotta di Putin: «Il 90 per cento del mio villaggio guadagna grazie ai soldati russi. Mi sento difeso più da loro che da quella banda di mafiosi che è andata al governo». Non si vedono armi, ma i Tejero dentro il Parlamento di Crimea hanno già le loro falangi. Arriva un corteo da Sebastopoli in un canto — «Sii gloriosa nostra Russia libera, unione eterna di popoli fratelli…» — e i nuovi cosacchi marciano a tre a tre, con gli elmetti e gli scudi. Spintonano. Hanno le divise, gli auricolari. E sul braccio una fascia bianca con una scritta: «Blocco russo».


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