La sicurezza a mani nude

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Andrea Palladino, Andrea Tornago, il manifesto

Qua­ran­totto ore per tra­sbor­dare un arse­nale chi­mico su una nave che lo distrug­gerà navi­gando in gran segreto in pieno mar Medi­ter­ra­neo. Un pro­cesso poco usato nell’industria del trat­ta­mento dei veleni, l’idrolisi, che dovrebbe tra­sfor­mare gli aggres­sivi chi­mici in «sem­plici» sco­rie peri­co­lose, lon­tano dagli occhi del mondo. L’operazione verrà ese­guita a regola d’arte – assi­cu­rano gli esperti – ma sulla carta ci sono tutti gli ele­menti per far impal­li­dire la fan­ta­sia dei peg­giori traf­fi­canti di rifiuti nell’operazione decisa dall’Opcw, l’Organizzazione mon­diale per la proi­bi­zione delle armi chi­mi­che. Por­tando le lan­cette indie­tro di diversi anni, quando i mari del Nord erano sol­cati da navi ince­ne­ri­tore che bru­cia­vano i Pcb, i poli­clo­ro­bi­fe­nili parenti stretti delle diossine.

Se l’orrore — quello della guerra — a Gioia Tauro deve ancora arri­vare, la gal­le­ria quo­ti­diana della man­canza di sicu­rezza dei nostri porti si pre­para ad acco­gliere le armi chi­mi­che siriane. E’ una denun­cia del sin­da­cato Usb dei Vigili del fuoco — rilan­ciata da Green­peace — ad aprire uno squar­cio impres­sio­nante sulla strut­tura che dovrà acco­gliere le sostanze chi­mi­che più peri­co­lose mai imma­gi­nate dall’uomo. «Sono anni che il per­so­nale non viene più for­mato in mate­ria Nbcr (Nucleo Bat­te­rio­lo­gico Chi­mico Radioat­tivo, ndr) e per i mezzi acqui­stati per que­sto scopo, but­tati in capan­noni oppure impie­gati per altri ser­vizi d’istituto, non è pos­si­bile la manu­ten­zione per­ché man­cano i fondi» è la denun­cia secca con­te­nuta in una nota dif­fusa nei giorni scorsi. Non solo. I mate­riali di pro­te­zione indi­vi­duale — essen­ziali nella gestione dei cari­chi peri­co­losi — sareb­bero sca­duti da anni, come dimo­strano alcune foto­gra­fie — non ancora veri­fi­cate — che il mani­fe­sto ha potuto visio­nare. Scatti rea­liz­zati venerdì scorso all’interno dei locali adi­biti a magaz­zino per i mate­riali del Nucleo Bat­te­rio­lo­gico Chi­mico Radioat­tivo del comando di Catan­zaro, capo­fila per even­tuali inter­venti nel porto di Gioia Tauro.

La situa­zione mostrata è dram­ma­tica. Sca­tole di tute e fil­tri sca­duti, bidoni di sostanze coperte di pol­vere e un senso di abban­dono gene­ra­liz­zato. «In que­ste con­di­zioni dovremo garan­tire la sicu­rezza durante il tra­sbordo delle armi chi­mi­che dalle navi che arri­ve­ranno dalla Siria verso la Cape Ray sta­tu­ni­tense», spie­gano alcuni espo­nenti dell’Usb dei vigili del fuoco inter­pel­lati dal mani­fe­sto. «Nei pros­simi giorni saremo coin­volti in una eser­ci­ta­zione spe­ci­fica per l’arrivo delle armi chi­mi­che siriane — pro­se­gue il rac­conto — ma la situa­zione, al momento, è que­sta. Se oggi ci fosse un inci­dente rile­vante, l’attrezzatura che ci serve è nelle con­di­zioni mostrate dalle foto­gra­fie». Gli stessi sin­da­cati hanno denun­ciato la disat­ti­va­zione dello scan­ner RTM910T — uti­liz­zato per rile­vare, tra l’altro, even­tuali radia­zioni pro­ve­nienti soprat­tutto dai rot­tami fer­rosi — «costato 45 milioni di lire». Un’anomalia che potrebbe ren­dere il porto di Gioia Tauro un approdo «sicuro» per chi gesti­sce traf­fici ille­citi peri­co­losi per l’ambiente e i lavo­ra­tori addetti alla logi­stica. A que­sto punto «è dove­roso inter­ro­garsi sulle con­di­zioni in cui sono movi­men­tate di rou­tine sostanze peri­co­lo­sis­sime nei porti ita­liani e altrove», com­menta Green­peace Ita­lia, rilan­ciando la denun­cia dei vigili del fuoco.

C’è poi una par­tita impor­tante che si aprirà una volta effet­tuato il trat­ta­mento delle armi chi­mi­che sulla Cape Ray, la nave Usa che por­terà i veleni in mare aperto per disin­ne­scare gli ordi­gni siriani. L’idrolisi è infatti un pro­cesso deli­cato, che non eli­mina le sostanze peri­co­lose pre­senti nelle armi siriane e pro­duce a sua volta emis­sioni in atmo­sfera e nuovi rifiuti peri­co­losi solidi e liquidi. All’interno di camere con­trol­late instal­late sulla nave, ver­ranno aggiunti ai gas tos­sici rea­genti in grado di rom­pere la mole­cola nociva e creare atomi più sem­plici e sicuri da trat­tare. Se tutto va bene – il mare è stato scelto pro­prio per assi­cu­rare la mas­sima disper­sione delle rica­dute in caso di inci­dente, che sarebbe comun­que disa­stroso – resta da capire chi si aggiu­di­cherà il trat­ta­mento e lo smal­ti­mento finale di quel che resterà dell’arsenale di Assad. Sono pochi gli ope­ra­tori in grado di rice­vere una com­messa così deli­cata e di inte­resse stra­te­gico diret­ta­mente dall’esercito degli Stati Uniti. Una di que­ste è la società Inter­green di Bre­scia, che da anni ha l’esclusiva nazio­nale – e non solo – per il trat­ta­mento dei rifiuti spe­ciali pro­dotti dalle basi Nato. Legata alla Com­pa­gnia delle opere lom­barda, la divi­sione eco­no­mica di Comu­nione e Libe­ra­zione, secondo gli ope­ra­tori del set­tore Intre­green è una delle prin­ci­pali can­di­date ad aggiu­di­carsi lo smal­ti­mento delle sco­rie delle armi chi­mi­che. Con­tat­tata dal mani­fe­sto, l’amministrazione della società bre­sciana ha assi­cu­rato di avere perso il con­tratto con il governo Usa da almeno cin­que anni. Anche se sul suo sito web la Inter­green comu­nica di avere attual­mente in gestione «un impor­tante con­tratto con il Mini­stero della Difesa Ame­ri­cano per lo smal­ti­mento ed il recu­pero dei rifiuti peri­co­losi pro­dotti dalle Basi Nato in Ame­rica e in Ita­lia». Mate­riale di inte­resse mili­tare che neces­sita di discre­zione e affidabilità.

Rimane il silen­zio asso­luto sul tra­gitto delle due navi inca­ri­cate del tra­sporto delle sco­rie dalla Siria a Gioia Tauro: i segnali Ais sono fermi allo scorso dicem­bre, men­tre l’ufficio stampa delle com­pa­gnie di navi­ga­zione spiega che non pos­sono dare nes­suna infor­ma­zione. Tutto tace sul cielo della Calabria.



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