Renzi a quota 378 alla Camera E apre a più tasse sulle rendite
Alessandro Trocino, Corriere della Sera
«Ragioniamoci, non sui Bot». Proteste dei 5 Stelle, tensioni in Aula
ROMA — Questa volta sta bene attento a non mettersi le mani in tasca e comincia il suo intervento alla Camera citando proprio le critiche per il tono e i modi informali usati al Senato. Poi Matteo Renzi spiega il suo programma ai deputati e ottiene il via libera per cominciare la sua avventura al governo del Paese: 378 sì, uno in meno di quello ottenuto da Enrico Letta l’11 dicembre scorso. Assenti, giustificati, i due renziani Luca Lotti e Lorenzo Guerini. I contrari sono 220, contro i 212 dell’ex premier. Il governo Renzi nasce, ma in un clima di scarso entusiasmo, con un’Aula semivuota e senza nessun applauso.
A sera, Renzi interviene a Ballarò e con Giovanni Floris fa il punto: «Ci sono stati commenti molto duri, ma non era facile parlare al Senato». Poi promette di intervenire «sulla spesa pubblica, con un intervento strutturale»: «Entro un mese diremo dove trovare i soldi per ridurre il cuneo fiscale ed entro 15 giorni le coperture per sbloccare i debiti della Pubblica amministrazione». Poi conferma che non toccherà i Bot ma apre all’aumento delle tasse sulle rendite finanziarie. E sulla freddezza di Letta: «È comprensibile il dispiacere. Mi piacerebbe discutere di come è andata. Il tempo è galantuomo, i protagonisti sanno come è andata. Avrei preferito un’altra soluzione ma quest’accelerazione mi è stata chiesta innanzitutto dal Pd e poi dalle altre forze politiche. Il governo era bloccato. Ora vado avanti, al massimo mi mandano a casa».
A Montecitorio Renzi parla davanti a un banco colmo di dispositivi digitali, a una spremuta e a un libro di Murakami dal titolo simbolico, «L’arte di correre». Di fronte a lui c’è Letta, il premier che ha sostituito e che alla fine lo applaudirà gelidamente. Qualche metro più in là c’è Pier Luigi Bersani, l’ex rivale delle primarie, reduce (applauditissimo) dalla malattia.
Renzi parla ancora a braccio, ma dice: «Proverò a rispettare il bon ton istituzionale». Esprime rispetto per i due politici del compromesso storico, Enrico Berlinguer e Aldo Moro. Cita Don Milani, lo scrittore inglese Chesterton, la Famiglia Addams e, indirettamente, Arisa, quando spiega che vuole andare «controvento». Ricorda il sindaco di Firenze Giorgio La Pira. E il presidente Oscar Luigi Scalfaro, per ricordare il momento più buio che ha vissuto nel ‘92 la sua generazione, «la generazione Erasmus». Spiega ancora una volta che «non ci sono più alibi», che è «l’ultima chance per cambiare». Il suo, dice, «non è un atto di coraggio ma di realismo». Fa un passaggio sul clima interno del partito, rivoltando in positivo gli eventi delle ultime settimane: «Noi siamo un partito che quando deve litigare lo fa apertamente. E quando uno perde sta nello stesso partito. Bersani non mi ha cacciato e ora è qui. Questa si chiama democrazia interna».
Poi passa alla parte programmatica. «Non bastano le riforme costituzionali o elettorali: esiste un’esigenza drammatica, che è quella occupazionale». Nella replica spiega che occorre «cambiare il sistema della giustizia, il fisco, la vita dei lavoratori e degli imprenditori». Parla della «gigantesca opportunità» data dal semestre europeo: «Ma la Ue non ci detterà la linea». Annuncia che il primo viaggio istituzionale sarà a Tunisi. Chiarisce che quando annunciava il taglio a «doppia cifra» del cuneo fiscale si riferiva «ai miliardi e non alla percentuale».
I 5 Stelle lo attaccano. Carlo Sibilia definisce Renzi e il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan «due figli di Troika». La presidente della Camera Laura Boldrini interviene. Poche ore prima, Roberta Lombardi aveva presentato una querela per diffamazione. Alla Boldrini arrivano messaggi di solidarietà, tanto che la presidente twitta: «Grazie alle parlamentari e alle associazioni per il sostegno».
Renzi ottiene il sì del suo partito, anche se non mancano malumori. Pippo Civati prima dice: «Stai sbagliando, è una manovra di palazzo degna di Rumor». Poi però dà la fiducia «per non sfasciare tutto». Duro anche Stefano Fassina: «Il mio voto non è una delega in bianco». Gianni Cuperlo è una sfinge e si limita all’ironia: «Il discorso di Renzi? Sto leggendo un bel romanzo di Francesco Pecoraro, “La vita in tempo di pace”, che ha una prosa gaddiana. Ecco, non mi è sembrato di cogliere l’eco di questa prosa». Critico anche Cesare Damiano: «Non ha parlato del tema delle pensioni». Positivo Denis Verdini, Forza Italia, che vede un buon futuro di sinergia: «Il patto sulle riforme tra Berlusconi e Renzi regge perché è nell’interesse del Paese».
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