Marcia contro Kerry in nome della colonizzazione
«Non siamo qui per protestare contro nessuno, ma per affermare il diritto d’Israele di costruire entro i suoi confini che includono la Giudea e la Samaria (la Cisgiordania palestinese occupata, ndr)». Il ministro dell’edilizia Uri Ariel ha provato a ridimensionare la polemica diretta con il Segretario di stato Usa John Kerry e a privilegiare solo il tema della colonizzazione delle terre palestinesi tanto caro alla destra (e non solo) al potere in Israele. Eppure ieri tra i 2500–3000 settler e attivisti riuniti per la marcia nella zona E1, tra Gerusalemme Est e Maale Adumin, non si parlava d’altro (e male) che di Kerry e del suo piano (non ancora presentato) per la “soluzione” del conflitto tra Israele e i palestinesi. «E’ una manifestazione molto importante. Avremo gli occhi addosso sia a Gerusalemme sia a Washington», ha spiegato da parte sua il viceministro della Difesa (Likud) Danny Danon alla radio dei coloni, Canale 7, per rimarcare la volontà della destra di respingere l’idea stessa di un compromesso territoriale con i palestinesi, anche alle condizioni palesemente favorevoli a Israele previste dal piano di Kerry.
La presenza alla marcia di tanti ministri e viceministri ribadisce che la politica del governo Netanyahu coincide con le aspirazioni dei coloni. «Ci rendiamo conto delle forti pressioni esercitate su Netanyahu da parte di Kerry – ha aggiunto Danon — ma il premier deve capire che è stato eletto dalle forze nazionali. E’ secondo lo spirito di queste (forze) che va condotto il paese». Dopo i comizi, i manifestanti – in buona parte giovani delle scuole religiose più nazionaliste — si sono messi in marcia verso la zona E1. Questa striscia di territorio alla fine del 2012 è stata al centro di un scontro tra Israele e i suoi alleati occidentali. All’indomani dell’ammissione della Palestina all’Onu come stato non membro, il governo israeliano dette il via sulla zona alla costruzione di nuove case per coloni. Decisione che fu poi bloccata per la pressione degli Usa e dell’Europa che per protesta convocarono gli ambasciatori israeliani.
Netanyahu e i suoi ministri non temono le critiche degli europei. E’ una sfida continua quella che i dirigenti israeliani lanciano all’Ue, percepita sempre di più come ostile. Lo evidenzia l’attacco durissimo subito dal presidente dell’Europarlamento Martin Schulz durante il discorso che due giorni fa ha pronunciato davanti alla Knesset, per aver denunciato la discriminazione che subiscono i palestinesi sotto occupazione nella distribuzione dell’acqua. «Io ero tenuto a rappresentare la posizione del Parlamento europeo nella Knesset. Naturalmente non posso dire solo cose che piacciono a tutti», ha detto ieri Schulz, in un’intervista a Die Welt. «Le persone che hanno protestato appartengono alla linea dura, che reagisce a ogni parola critica. Hanno attaccato anche il segretario di stato John Kerry allo stesso modo».
A poche decine di chilometri da Gerusalemme e dalla zona E1, Gaza vive la sua drammatica routine nel disinteresse della comunità internazionale. Un giovane di 26 anni, Ibrahim Mansour, ieri è stato ucciso dal fuoco dei soldati israeliani che hanno sparato su di un gruppo di palestinesi che si era avvicinato alle barriere tra Gaza e Israele. Un altro ragazzo di 21 anni è stato ferito gravemente. Intanto il nuovo logo che reca la scritta “Stato di Palestina” sui documenti dei palestinesi dovrà essere cancellato altrimenti Tel Aviv non permetterà più agli abitanti di Gaza diretti negli ospedali israeliani di attraversare il valico di Erez.
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