Perché le banche non fanno il loro mestiere
La Bce riferisce che i prestiti alle imprese e alle famiglie nell’eurozona, soprattutto nei paesi della periferia, continuano a crollare, registrando il calo più drammatico da più di vent’anni a questa parte, alla faccia della tanto sbandierata ripresa: –2.3% in media rispetto all’anno precedente. Particolarmente critico il dato che si riferisce alle imprese: –3.9%. I dati per l’Italia sono da bollettino di guerra: Bankitalia parla di un calo dei prestiti alle imprese del 6% (il dato peggiore degli ultimi dieci anni), mentre i mutui concessi alle famiglie hanno fatto registrare una flessione dell’1.2% su base annua. Confindustria aggiunge che la caduta è stata finora del 10.5% dal picco del settembre 2011, pari a 96 miliardi, e che per il 2014 la contrazione sarà di altri otto miliardi. Come se non bastasse, come ha denunciato recentemente la Cgia di Mestre, i pochi finanziamenti erogati vengono concessi solo alle grandi imprese. Molti si chiedono come sia possibile che nonostante la colossale somma di denaro pubblico messa a disposizione dai governi europei per salvare le banche in seguito alla crisi finanziaria – almeno 4.600 miliardi di euro tra il 2008 e il 2010, secondo i dati della Commissione europea, a cui bisogna sommare i mille miliardi di euro circa di prestiti a bassissimo tasso d’interesse erogati dalla Bce – queste si ostinino a non prestare, o a farlo solo a tassi da usura. Le ragioni sono molteplici.
Sono tre le considerazioni da fare. La prima è che la somma di denaro in questione, per quanto enorme – a essa infatti si può ascrivere in buona parte l’aumento del debito pubblico nei paesi della Ue nel triennio 2008-10 e dunque anche la successiva crisi del debito sovrano, in un processo che giustamente è stato definito da molti una «socializzazione del debito privato delle banche», se non un vero e proprio «colpo di stato» – rappresenta poco più di una goccia nell’oceano sommerso della finanza. Considerando le dimensioni del settore bancario europeo (350% del Pil), la sua propensione al gioco d’azzardo (per mezzo di derivati e quant’altro) e la sua capacità di occultare i debiti trasferendoli nel cosiddetto «settore bancario ombra», è naturale presuppore che le perdite sostenute dalle banche in seguito alla crisi del 2008 siano ampiamente superiori a quelle dichiarate, e che i trilioni di euro di aiuti statali abbiano rappresentato poco più di una toppa. Secondo un recente studio, infatti, le banche europee sarebbero ancora sottocapitalizzate di circa 1,000 miliardi di euro. Ma si tratta sempre di stime. Quello che serve (e che manca) è anzitutto trasparenza.
Questo ci porta alla seconda considerazione. Ossia che dal 2008 ad oggi non è stata effettuata nessuna riforma strutturale del sistema per rimettere le banche al servizio dell’economia reale. Infatti apprendiamo che le banche europee hanno ripreso a scommettere sui mutui subprime americani, hanno ricominciato a cartolarizzare i loro mutui a rischio, distribuendo così i rischi nel sistema e continuano a giocare d’azzardo sul mercato dei derivati (che infatti si stima essere cresciuto di valore dal 2007 ad oggi).
La terza considerazione è che la cura letale della repressione fiscale promossa dalla troika Ue-Bce-Fmi sotto la pressione di Berlino non ha fatto che acuire la recessione nei paesi della periferia, peggiorando i bilanci delle imprese (che fanno sempre più fatica a ripagare i debiti contratti con le banche) e di conseguenza i bilanci delle banche stesse, rendendole così ancora più restie a prestare soldi (indifferentemente dalle flebo dei governi e della Bce per tenerle in vita). Gli ultimi dati parlano di un aumento del 22.7% dei crediti di difficile riscossione nel 2013, pari all’incirca a 150 miliardi di euro (Bankitalia stima che possano arrivare presto a 300). Complessivamente le sofferenze adesso corrispondono al 10.5% dei prestiti bancari. In conclusione, risulta evidente che siamo in presenza di un circolo vizioso, e che affidarsi alle banche per uscire da un crisi provocata dalle banche stesse (senza neanche cambiare le regole del sistema finanziario) è un controsenso. In un momento in cui l’economia ha un disperato bisogno di liquidità, è la politica che deve farsi carico di rimettere in circolazione il denaro, per mezzo di politiche fiscali espansive. Ma questo è un altro discorso.
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