Droghe, un’altra lezione della Consulta

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Messa così, suona come un’invasione di campo, un rovesciamento dei ruoli e delle competenze. Ma il tribunale costituzionale non ha colpe se la politica ha abbandonato il campo. Se sforna molti veti e nessun voto, nessun intervento normativo per correggere le troppe storture che abbiamo ancora in circolo. Era il caso del Porcellum , ma era anche il caso della disciplina sugli stupefacenti. Qui non si tratta d’intonare un inno allo spinello, né alla libertà individuale di drogarsi. D’altronde non è questo l’effetto della sentenza costituzionale: drogarsi resta illecito, però c’è pena e pena. E c’è un problema di proporzioni: difatti la Fini-Giovanardi puniva con lo stesso castigo sia gli adolescenti che fumano marijuana sia chi s’inietta eroina nelle vene. Come diceva don Milani, «non c’è nulla di più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali».
Eppure è ancora un altro il vizio legislativo che ha armato la mannaia della Consulta. Un vizio formale, non sostanziale. Una violazione del rito, delle procedure. Bene, perché il diritto dopotutto è questo: una forma che conforma la nostra convivenza. Male, perché c’è sempre il rischio di confondere forma e formalismi, legge e legulei. Sicché alla fine l’opinione pubblica non riesce mai a farsi un’opinione, oppure immagina che le questioni formali siano soltanto uno schermo, un alibi per dissimulare il capriccio delle Corti. No, almeno in quest’occasione non è affatto così. C’era una giurisprudenza univoca, segnata dalla sentenza n. 22 del 2012. E c’era una vicenda normativa che parrebbe uscita dalla penna di Ionesco, il maestro dell’assurdo. Raccontiamola.
La Fini-Giovanardi salta fuori (nel 2006) attraverso un emendamento al decreto legge sulle Olimpiadi invernali di Torino. Anzi un maxiemendamento, che aggiunge 23 nuovi articoli al testo originario. Insomma sci e spinelli, roba da restare stupefatti, anche senza l’uso di stupefacenti. Il Comitato per la legislazione della Camera formula parere contrario, la maggioranza si dichiara contraria al parere. Dopodiché il governo pone la fiducia, sequestrando il Parlamento. E il Parlamento vota la conversione del decreto all’ultimo minuto, sequestrando la promulgazione del capo dello Stato. Se infatti lui avesse esercitato il potere di rinvio, niente Olimpiadi, perché i 60 giorni di durata del decreto sarebbero scaduti. Quindi prendere o lasciare: gli sci, e pure gli spinelli.
Ma è mai possibile legiferare in questo modo? E si possono mai generare buone regole violando tutte le altre regole? I nostri presidenti della Repubblica hanno sparato a raffica moniti e richiami all’esecutivo e alle due Camere: per esempio Carlo Azeglio Ciampi nel marzo 2002, Napolitano in molteplici occasioni (l’ultima volta il 27 dicembre 2013, circa la conversione in legge del decreto salva Roma). Sia la Cassazione, sia la Corte costituzionale hanno ripetutamente acceso il rosso del semaforo. Ma loro no, continuano imperterriti. L’ultima perla è il decreto legge varato dal governo Letta, mettendo insieme le rate dell’Imu e la nuova Bankitalia. Come se quest’articolo che avete adesso sotto il naso dedicasse un capoverso alla Fini-Giovanardi, un altro capoverso alla prossima formazione della Juve.
C’è allora una lezione che la Consulta impartisce ai nostri governanti. Fate le cose una per volta, se non altro ci risparmierete un doppio sbaglio. E che ciascuno faccia il suo mestiere, senza invadere i territori altrui. Al governo i decreti, alle Camere le leggi. E ai cittadini? A loro non resta che contemplare il traffico. Ma che sia almeno un traffico ordinato.


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