Con la Rete i suicidi tra i giovani non sono aumentati
La presunta esplosione di suicidi legata al cyberbullismo non ha alcun supporto scientifico. Così come non esisteva un boom di suicidi causati dalla crisi economica. “Ogni anno in Italia si verificano circa tremila casi di suicidio, con punte di quasi quattromila casi nei primi anni Novanta”, ci aveva raccontato Stefano Marchetti, responsabile dell’ultima indagine dell’Istat su suicidi e tentativi di suicidio in Italia, relativa all’anno 2010: “Ogni gesto estremo, come quelli che le cronache recenti raccontano, nasconde una tragedia umana e impone il massimo rispetto. Ma è difficile affermare che vi sia un aumento statisticamente significativo dei suicidi dovuto alla crisi economica. Temo che si stiamo facendo affermazioni forti, senza robuste evidenze scientifiche”. L’ultima notizia, un’informativa dell’istituto di pochi giorni fa aggiornata al 2011, ritocca il numero delle morti per suicidio dalle 3.989 del 2010 alle 4.156 di due anni fa.
Così come non esiste un collegamento scientificamente provato fra situazione macroeconomica, suicidi e tentativi di suicidio, i numeri raccontano anche un’altra verità. Semplice ma che buona parte dei mezzi di comunicazione pare ignorare per spingere verso la demonizzazione sensazionalistica piuttosto che la consapevolezza ragionata. Aumentando il rischio dell’emulazione. Pur senza contare che il suicidio è un gesto che colpisce fasce d’età adulte, non è infatti possibile tracciare alcun rapporto fra la crescita esponenziale delle piattaforme social e un eventuale aumento dei suicidi fra i giovani. Semplicemente perché questo aumento, stando agli ultimi numeri disponibili ma anche all’evoluzione del fenomeno nell’ultimo ventennio, non c’è stato.
L’ultimo caso a sollevare di nuovo il dibattito è di due giorni fa: a Cittadella, in provincia di Padova, una ragazza di 14 anni si è gettata dalla terrazza sul tetto dell’ex hotel Palace di Borgo Vicenza. Una scelta che sembrava essere già stata annunciata sul social network Ask.fm, al centro delle polemiche in quanto ritenuto fra i più sregolati, ricettacolo di insulti e attacchi di ogni genere per il suo meccanismo di domande e risposte anonime. Ancora una volta, quando si raccontano queste storie si rischia di confondere la causa con l’effetto. E di attribuire responsabilità sproporzionate a canali che, certo, sembrano ring ideali in cui chiunque (non solo gli adolescenti, come dimostrano le polemiche sull’hate speech) può facilmente riversare la propria aggressività. Ma costituiscono solo l’ultimo campanello d’allarme di una situazione ben più ampia. Insomma: quando queste piattaforme non c’erano, i giovani si uccidevano di più.
“Fra i Paesi Ocse, l’Italia registra uno dei più bassi livelli di mortalità per suicidio – si legge nell’informativa dell’Istat del 2012, l’ultima disponibile sul tema – la propensione al suicidio è maggiore tra la popolazione maschile, oltre tre volte quella femminile, e cresce all’aumentare dell’età. L’analisi per livello di istruzione evidenzia una maggiore propensione al suicidio tra le persone con titoli di studio medio-bassi. Per tutti i titoli di studio la classe di età più anziana presenta sempre livelli più alti e la maggiore propensione al suicidio si ha fra le persone con un più basso livello di istruzione e un’età superiore ai 45 anni”. Non bastassero queste recenti tendenze a bloccare l’ardita equazione giovani-social network-suicidi, ci sono i dati dal 1993 al 2009. Da cui risulta anzi, per la fascia d’età fino ai 24 anni, una sensibile diminuzione: 21 anni fa l’Istituto registrava fra i maschi 3,9 suicidi per 100mila abitanti, cinque anni fa erano scesi a 2,1. Fra le femmine la cifra era di 0,9 nel 1993 e 0,6 nel 2009. Tradotto in numeri assoluti, 324 decessi contro 150 per i maschi e 69 contro 44 per le femmine. “Rispetto all’inizio del periodo considerato, le fasce di popolazione per le quali si è avuta la diminuzione più significativa, quasi un dimezzamento del numero di suicidi ogni centomila abitanti, sono quelle dei maschi fino a 24 anni – si legge nel rapporto – importanti riduzioni si sono registrate anche tra le donne con meno di 24 anni e tra quelle comprese nella fascia d’età 45-64 anni, oltre che fra gli uomini over 65”. Che tuttavia rimangono i soggetti più interessati.
Purtroppo gli ultimi dati disponibili dell’Istat sono fermi al 2010. E forse, data la delicatezza del tema, sarebbe il caso che l’istituto recuperasse un po’ di terreno. In ogni caso la situazione, che secondo il trend della già citata informativa sull’anno successivo sarebbe complessivamente peggiorata, sembra essere in ulteriore miglioramento in quelle specifiche fasce d’età a più stretto contatto con l’universo del Web. I suicidi nella sottofascia fino a 13 anni sono infatti stati 5, in quella fra 14-17 anni 19 e fra i 18 e i 24 114. Totale 138, 56 in meno rispetto al 2009. Certo, all’appello mancano gli ultimi quattro anni, essenziali anche sotto il profilo della pervasività tecnologica. La grande incognita del dolore dei nostri giovani, semmai, la raccontano bene i moventi, almeno per come almeno li classifica l’Istat sulla base dei rapporti alla Polizia e ai Carabinieri: fino ai 24 anni in 35 casi è stata indicata come ragione una “malattia psichica”, in 32 “motivi affettivi”. Per il resto c’è un grande vuoto che forse colpisce più di qualche cyberidiota.
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