Brasile, la voce dei Sem Terra
Il Movimento senza terra è da ieri riunito a Brasilia, per il VI congresso dei suoi 30 anni di vita. Il palazzo dello sport Nilson Nelson ospita 16.000 delegati di 23 stati del paese e 250 ospiti stranieri. Intorno è stata montata una piccola città, 38.000 metri quadrati di tende destinate agli alloggi, alle 150 cucine – nelle quali vengono preparati pasti con i prodotti degli insediamenti — a segreteria, ambulatorio, asilo infantile eccetera.
A fianco del palazzo c’è poi la Mostra Nazionale della Cultura e della Produzione Contadina, organizzata dalle coperative e associazioni degli insediamenti dei vari stati. Sono esposti e venduti i prodotti dei senza terra per mostrare alla società la ricchezza e diversità della loro produzione e l’importanza dell’agricoltura familiare da cui proviene il 70% del cibo che arriva sulle tavole dei brasiliani.
«Il congresso è solo il momento conclusivo di un lungo processo, un momento di festa e condivisione perché la discussione è cominciata due anni fa nella base del Movimento — ha detto Diego Moreira del Mst/Paraná durante la conferenza stampa di presentazione dell’evento — Per due anni si è discusso a tutti i livelli dello svuotamenteo del progetto della Riforma agraria classica e della necessità della costruzione di una Riforma agraria popolare. Lo slogan del VI Congresso è infatti: Lottare, costruire una riforma agraria popolare».
Ne parliamo con João Pedro Stédile, il dirigente dei senza terra più conosciuto in Italia (a dicembre, dopo aver partecipato a un incontro sull’esclusione in Vaticano, Stedile ha incontrato i movimenti italiani al Valle occupato).
A che punto è la riforma agraria?
Il Brasile non ha mai avuto un vero programma di riforma agraria che si proponesse di democratizzare l’accesso alla terra e garantisse la terra ai poveri. Oggi non c’è riforma agraria e anche i processi di conquista di nuovi insediamenti sono bloccati. Dipende dal fatto che c’è una forte speculazione sui prezzi delle commodity agricole, che ha accresciuto il lucro dei fazendeiros e ha portato alle stelle il prezzo della terra. Il capitale sta imponendo l’agrobusiness come unica forma di produzione e il governo Dilma è egemonizzato dall’agrobusiness. È un modello di produzione che interessa ai grandi fazenderos e alle imprese transnazionali che controllano il commercio mondiale. Negli ultimi dieci anni abbiamo avuto un’enorme concentrazione della proprietà della terra e della produzione agricola. Circa l’80% delle terre è utilizzato solo per soia, mais, canna, pascolo e eucaliptos. Tutto finalizzato all’esportazione. È un modello che dà profitto ad alcuni ma condanna milioni di persone alla povertà. Basta vedere il caso del Mato Grosso, considerato un modello: più dell’80% degli alimenti consumati dal popolo di lì deve arrivare da altri stati. Ci sono 40 milioni di brasiliani che dipendono dal programma Borsa Famiglia per mangiare e 18 milioni di lavoratori adulti che non sanno leggere. Sono conseguenze dell’agrobusiness. I suoi effetti perversi colpiscono tutta la popolazione, poiché l’agrobusiness distrugge l’ambiente e altera il clima anche nelle città e produce soltanto usando veleni. Questi veleni distruggono la biodiversità, contaminano le acque e gli alimenti. Quelli che sostengono la riforma agraria, all’interno del governo, sono una minoranza e c’è anche una grave incompetenza amministrativa nell’Incra, l’Istituto per la riforma agraria che non riesce a risolvere neanche i problemi di coloro che sono già insediati. Due anni fa, durante una riunione del Forum Sociale Mondiale a Porto Alegre, la Presidente ci ha promesso che avrebbe messo al primo posto l’insediamento delle famiglie senza terra nei progetti di irrigazione del nordest, che è il luogo dove vivono i più poveri, visto che ci sono 86.000 lotti liberi, nei quali il governo potrebbe insediare 86.000 famiglie. Ma non è stato preso nessun provvedimento in questo senso.
Il blocco della riforma agraria ha messo in difficoltà il Mst?
Sì, dal 2005 a oggi, anche il Mst ha sofferto il periodo di riflusso del movimento di massa. E non perché sia venuta meno la volontà di lottare, ma perché le condizioni della lotta risultano più difficili: le masse percepiscono l’impossibilità di una vittoria e si tirano indietro. Abbiamo 80mila famiglie accampate, molte delle quali vivono da 8 anni sotto i teloni di plastica nera, eppure per tutto l’anno Dilma non ha espropriato neanche una fazenda. Per provocarla le diciamo: l’ultimo governo militare che ti ha torturato ha espropriato più terra di te.
Da giugno, ci sono state invece importanti mobilitazioni dei giovani…
Le mobilitazioni dei giovani, in ogni società, sono una specie di termometro che indica la temperatura dell’indignazione dell’intera società. E qui è successo lo stesso. I giovani sono scesi in strada a nome di noi tutti per dire che c’è bisogno di cambiamenti sociali nell’organizzazione politica da cui non ci sentiamo rappresentati, nella politica economica, nell’organizzazione dello stato che deve rispondere alle necessità del popolo rispetto alla salute, all’educazione, a un trasporto pubblico di qualità. Noi abbiamo cercato di partecipare, nonostante la nostra base viva lontano dalle grandi città. Incoraggiamo i giovani ad organizzarsi e andare avanti e allo stesso tempo lavoriamo alla costruzione di assemblee statali e nazionali di tutti i movimenti sociali, dal movimento sindacale alle pastorali della chiesa, per discutere insieme sulle strade da percorrere e sulla riforma politica. Il Brasile vive una crisi politica profonda. Nel senso che il popolo e la classe lavoratrice non esercitano un controllo su coloro che dovrebbero essere i loro rappresentanti nelle sfere politiche dello Stato. Questa distorsione dipende dal finanziamento privato delle campagne elettorali, sempre più care, e dalla manipolazione ideologica dovuta al monopolio dei mezzi di comunicazione, in particolare la Tv.Gli eletti rispondono solo agli interessi della classe che li finanzia, invece che a quelli di chi ha votato per loro. Si devono cambiare le regole della politica per tornare ad avere una democrazia rappresentativa nella quale il popolo possa credere. Una riforma politica dovrebbe modificare molti aspetti della sutuazione attuale: dalla forma di scegliere i candidati, a quella di finanziare le compagne, agli impegni, ai tempi del mandato e al diritto del popolo di convocare autonomamente referendum popolari per esprimersi su questioni calde, fino a revocare i mandati degli eletti che non hanno tenuto fede agli impegni assunti con il popolo.
Utilizzerete il periodo della Coppa del Mondo in Brasile per farvi sentire?
Secondo me è importante che le nostre mobilitazioni non si concentrino nel periodo della Coppa. In quel periodo corriamo il rischio che il popolo non apprezzi e non aderisca. Tutti vogliamo vedere la Coppa e, d’altra parte, rischieremmo anche di ridurre le mobilitazioni alla sola denuncia del prezzo delle opere. In realtà, detto tra noi, anche i prezzi esagerati pagati per alcune opere e ristrutturazioni rappresentano molto poco di fronte ai miliardi trasferiti ogni giorno dal governo per il pagamento degli interessi ai banchieri. La nostra lotta deve essere finalizzata al fatto che le risorse pubbliche — oggi riservate all’avanzo primario per il pagamento degli interessi, che ingrassano solo gli speculatori e il capitale finanziario – siano destinate agli investimenti necessari all’educazione, alla sanità, al trasporto pubblico e alla riforma agraria.
Siamo in un anno elettorale. Che posizione assumerete ?
In quanto movimento sociale, il Mst tradizionalmente non si schiera per un candidato. Cerchiamo di far crescere la coscienza politica della nostra base perché voti i candidati e i progetti che rappresentano gli interessi del popolo e punti alla sconfitta dei settori della destra. Manterremo lo stesso atteggiamento.
Ma cos’è una Riforma Agraria Popolare e quali possibilità ha di essere attuata?
È necessario che vengano espropriati ampi territori dei maggiori latifondi, cominciando da quelli posseduti dalle imprese straniere. Deve essere data priorità alla produzione di alimenti sani, senza pesticidi (il Brasile è il massimo consumatore mondiale di veleni, importiamo 21 milioni di tonnellate di fertilizzati, è un modello insostenibile che prima o poi esploderà) perché il popolo delle città non si ammali a causa del cattivo cibo. Bisogna che si affermi l’agroecologia come nuovo modello di produzione in equilibrio con la natura. Ci devono essere agroindustrie in forma cooperativa che diano lavoro ai giovani delle campagne per bloccare l’esodo e distribuire il reddito. E tutti, a tutti i livelli, devono poter studiare. Questa è in sintesi la nostra proposta. Da qui in avanti, i cambiamenti nelle campagne dipendono da una collaborazione tra tutti i settori della classe lavoratrice. Per questo la nostra tattica deve includere l’alleanza con la classe lavoratrice urbana, con i giovani e tutti i movimenti sociali urbani. Come diciamo nel Documento sul Programma Agrario in discussione nel nostro Congresso: «Dobbiamo sostenere ora un nuovo progetto di riforma agraria che sia popolare. Non basta la riforma agraria classica, che si limita a dividere la proprietà della terra e a integrare i contadini come fornitori di materie prime e alimenti per la società urbano-industriale. La lotta per la riforma agraria si inserisce ora nella lotta contro il modello del capitale. È uno stadio della nostra lotta, con sfide più elevate e complesse, diverso dal periodo dello sviluppo industriale (1930-’80), quando gli insediamenti della riforma agraria in aree improduttive, per la produzione di alimenti, si sommavano all’agricoltura padronale rivolta, prioritariamente, all’agroesportazione. Gli scontri con il capitale e il suo modello di agricoltura partono dalle dispute sulle terre e i territori, ma si ampliano poi agli scontri sul controllo dei semi, dell’agroindustria, della tecnologia, dei beni della natura, della biodiversità, delle acque e delle foreste. La costruzione della Riforma Agraria Popolare può essere realizzata solo da un ampio ventaglio di forze popolari che rappresentino l’insieme dei lavoratori delle campagne e delle città. E assume anche una prospettiva internazionalista, perchè la lotta dei lavoratori contro l’ordine del capitale è internazionale, nell’attuale stadio di egemonia del capitale finanziario e delle imprese transnazionali che agiscono in tutto il mondo».
Lei ha parlato anche dell’unione delle forze tra Mst e popolazione indigena
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La classe lavoratrice deve sostenere la causa indigena. I popoli indigeni sono massacrati dall’offensiva del capitale che vuole le loro terre e ricchezze, in particolare nella zona della frontiera economica dell’agrobusiness, come il Mato Grosso del Sud, il sud di Bahia e del Maranhão. I popoli indigeni, pur avendo i loro diritti garantiti dalla Costituzione, rappresentano delle minoranze e non hanno la forza di scontrarsi con il potere del capitale da soli.
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