Il lunedì nero del presidente
Lo scettro del sovrano non è mai pesato tanto nelle mani di Giorgio Napolitano come in queste ore. E’ oggetto di una nuova, durissima offensiva, che al Quirinale giudicano finalizzata a un obiettivo preciso: indebolire il Colle per costringerlo ad accettare quel governo Renzi che il capo dello stato, soprattutto in vista semestre di presidenza italiana in Europa, intende evitare. Non era a questo che mirava Mario Monti con le sue “rivelazioni”, il suo è stato solo un (grave) errore di valutazione. Ma questo vogliono invece Carlo De Benedetti e Romano Prodi, che alle confessioni del Sobrio hanno aggiunto un pesantissimo carico. De Benedetti perché si darebbe da fare da per sostituire Letta con il sindaco-segretario. Prodi perché punterebbe ancora alla presidenza della Repubblica e Renzi premier sarebbe una garanzia in quel senso. Il fatto che a “commissionare” il libro di Alain Friedman sia stato Paolo Mieli viene interpretato come ulteriore indizio della manovra di accerchiamento. Anche il presidente della Rizzoli è considerato come uno che non ama troppo Napolitano.
L’attacco arriva in un momento che per il Quirinale sarebbe comunque stato difficilissimo. Oggi Enrico Letta avrebbe dovuto presentarsi al Colle per illustrare e rifinire la strategia grazie alla quale restare in sella sino all’anno prossimo. L’incontro sarà probabilmente rinviato: stamattina il premier sarà a Milano, nel pomeriggio il capo dello stato è già impegnato. Così dal Quirinale. Potrebbe essere un classico “depistaggio”, non è escluso che l’incontro spunti fuori dal cilindro all’improvviso. Ma non è neppure escluso che il rinvio sia dovuto al fatto che quella strategia per salvare governo e legislatura Letta e Napolitano ancora non sono riusciti a metterla a punto.
Il premier può tentare un rimpasto limitato a quattro o cinque ministeri (Giustizia, forse con il vicepresidente del Csm Vietti, Udc non sgradito a Berlusconi, al posto di Cancellieri; Lavoro, magari con un ex sindacalista come Epifani al posto di Giovannini; Sviluppo Economico, dove chiunque sarebbe più gradito agli industriali di Zanonato; probabilmente Paolo De Castro all’Agricoltura; eventuale ascesa agli Interni di Graziano Delrio, sempre che Renzi non si opponga). Non basterebbe. Alfano per Ncd e Stefania Giannini per Sc hanno già fatto sapere che ci vuole una svolta più radicale. Il Pd si esprimerebbe quasi certamente nello stesso senso, con effetti ben più deflagranti, il 20 febbraio.
Quanto al programma, è peggio che andare di notte. Le misure filtrate in questi giorni equivalgono a curare una malattia esiziale con l’aspirina. Pensare di rabbonire così le parti sociali è un’illusione. Anche la via del rinnovo totale della squadra, quel Letta-bis che reclama Alfano, è in realtà chiusa: una volta ottenute le dimissioni piene di Letta, i capipartito, nelle necessarie consultazioni, non indicherebbero lui ma Renzi.
A Letta resta una sola carta da giocare, ma è la più rischiosa di tutte e quella più invisa al presidente: sostituire Fabrizio Saccomanni al ministero chiave dell’Economia. Con una mossa del genere, parlare di rimpastino non sarebbe più possibile. Il segno della svolta radicale e del nuovo inizio ci sarebbe tutto. Non certo a caso l’ipotesi, fino a pochi giorni fa fantascientifica, circola ormai ovunque a palazzo Chigi, con tanto di possibili sostituti, da Domenico Siniscalco, un veterano, a Lorenzo Bini Smaghi.
Individuare l’eventuale successore di Saccomanni è impresa ardua. Convincere Napolitano lo è molto di più: il ministro è il “suo” uomo al governo, scelto col preciso intento di rassicurare l’Europa e la troika. Il presidente non aveva e non ha alcuna voglia di vederlo dipartire. Ma il prezzo rischia di essere la dipartita di Letta e l’arrivo di Matteo Renzi, che si schermisce come usa, ma sarebbe più che propenso ad accettare. Purché glielo chiedessero “tutti”. Con questo spirito è arrivato ieri sera al Quirinale e nonostante le resistenze di Napolitano, dopo la giornata campale di ieri tutti nei palazzi e dintorni ritengono che abbia ormai in tasca l’investitura.
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