Parigi, la battaglia di Libération

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PARIGI — «Siamo un giornale». Libération fa la prima pagina per difendere la sua identità. Lo storico giornale della gauche francese, che proprio quest’anno ha festeggiato i suoi primi quarant’anni, organizza una protesta inedita contro il piano di crisi varato dalla proprietà. Il progetto che più fa discutere i giornalisti è l’idea di trasformare la sede di rue Béranger in un centro culturale a tutto campo, con set televisivo, studi radiofonici, ma anche un ristorante e un “incubatore di start up”. «Non siamo un social network, un bar, un ristorante» si leggeva ieri mattina sulla copertina del quotidiano.
Sono “giorni neri”, altro titolo a pagina 2 e 3, per la testata riconoscibile dal famoso rombo rosso e fondata da Jean-Paul Sartre nell’aprile del 1973. Nell’ultimo anno, le vendite sono calate del 15%. Secondo un comunicato diffuso dai tre editori — Edouard de Rotschild, Bruno Ledoux e il gruppo italiano Ersel — il giornale sopravvive ormai solo grazie alle “sovvenzioni del potere pubblico”. La proprietà rifiuta di mandare via il direttore editoriale Nicolas Demorand, sfiduciato nel novembre scorso dall’89,9% dei votanti in redazione. Demorand, noto conduttore radiofonico nominato nel 2011, non è mai stato davvero accettato dagli oltre duecento giornalisti che hanno avuto prima solo due altri direttori: Serge July dal 1973 al 2006 e Laurent Joffrin, passato alla guida del Nouvel Observateur tre anni fa.
Gli attuali editori hanno presentato nell’autunno scorso un piano editoriale che affianca al nuovo paywall sul sito, una serie di tagli per circa 4 milioni di euro: una diminuzione degli stipendi fino al 15% su base volontaria, l’accesso al part-time e la chiusura anticipata del giornale di carta alle 20 (oggi è alle 21,30). Nel lungo articolo pubblicato ieri in risposta alla proprietà, la redazione lamenta un piano tutto improntato ai risparmi, che non prevede nuovi investimenti per valorizzare il lavoro giornalistico. Non solo. A preoccupare è il progetto di trasformare il marchio del quotidiano in un “social
network, creatore di contenuti, redditizio su diverse piattaforme (carta, video, digitale, forum, eventi, radio)” con scopi commerciali. La sede di rue Béranger, a due passi di place de la République, in una zona di Parigi molto di moda, dovrebbe essere trasformata “con l’aiuto di Philippe Starck” in uno spazio culturale con ristorante all’ultimo piano del palazzo, dove si può godere di una spettacolare vista su tutta Parigi.
Il manager François Moulias, incaricato dalla proprietà di trattare con la redazione, ha detto di voler creare un “Flore del ventunesimo secolo”, espressione
che ha fatto inorridire molti. L’idea è stata bocciata nell’articolo di autodifesa, firmato da tutta la redazione, con termini spregiativi come “Libéland”, “Libémarket”.  Per i giornalisti di Libération si tratta di un “colpo di Stato”, un inaccettabile svuotamento del significato storico della testata. “Il rombo rosso senza più niente dietro”
concludono i giornalisti di Libé.
Dopo un primo sciopero venerdì, la redazione organizza oggi un’altra assemblea generale per decidere le prossime mosse con la consapevolezza che quando un giornale fa la prima pagina su se stesso non è mai un buon segno.


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