Napolitano pesa i rischi di un rimpasto

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ROMA — «Horror vacui», terrore del vuoto. In questo caso, vuoto politico e istituzionale. È con l’antica formula aristotelica che si potrebbe sintetizzare la preoccupazione estrema (e, in quanto tale, quasi non pronunciabile) del capo dello Stato davanti al problematico vortice di ipotesi su cui si gioca la sfida sul futuro del governo. Un Letta che va avanti nonostante tutto, forse con un minirimpasto della propria squadra? Oppure un Letta-bis che ottiene una reinvestitura dopo esser passato attraverso una crisi pilotata? O magari una staffetta con Matteo Renzi a Palazzo Chigi, da tenere a battesimo ricontrattando programma e orizzonte temporale con i partiti dell’attuale maggioranza o con eventuali allargamenti (secondo alcuni coinvolgendo addirittura Berlusconi)? Oppure, infine, la scorciatoia di un voto subito, da legare alle europee, con l’Italicum se si riesce a vararlo in un paio di mesi, ma anche con quel relitto di legge elettorale proporzionale ereditato dalla sentenza della Consulta?
Sono questi i quattro scenari sui quali oggi si alternano tensioni, illazioni, pressioni e azzardi politico-mediatici. Giorgio Napolitano li soppesa con la freddezza di chi deve calcolare costi e benefici dell’una o dell’altra soluzione, pronto a tutto in attesa delle indicazioni che usciranno dal vertice del Pd convocato per il 20 febbraio. Si sa: in cima alle speranze del presidente della Repubblica resta quella di un rilancio forte dell’esecutivo, per il quale non a caso molto si è speso, arrivando a esprimere ancora mercoledì scorso (e con una nota ufficiale) «apprezzamento per la continuità e per i nuovi sviluppi dell’azione di governo». Un incoraggiamento esplicito, insomma. Un’esortazione a raddoppiare le energie e a «non galleggiare», per citare la formula mutuata dal premier. Uno scudo che però, per come si sono messe le cose, ormai potrebbe non bastare.
Il time out deciso giovedì sera dalla direzione dei democratici, e che sarebbe stato riservatamente anticipato al Quirinale dal ministro Graziano Delrio, è stato considerato con un certo sollievo. Perché ha offerto un’ulteriore quindicina di giorni ai negoziati dentro la maggioranza e, in particolare, dentro il Pd, per trovare un nuovo «schema» o tenersi fermi a quello che c’è. Non solo: ascoltando in diretta streaming il confronto tra Renzi e Letta, le posizioni sono sembrate sul Colle più convergenti (per interessi reciproci, se non per necessità) di quanto non siano rimbalzate all’esterno. Il fatto che i due siano in competizione tra loro non impressiona granché Napolitano: in fondo è sempre stato così, nella sinistra. Si riserva piuttosto di verificare se riusciranno a concertare insieme, in tandem, una via d’uscita. Cioè la fatidica «ripartenza» che potrebbe avere il suo passaggio cruciale con il primo voto alla Camera sulla legge elettorale.
Naturalmente spetta ai partiti trovare la formula giusta: il Quirinale non può manifestare pregiudizi né preconcetti, neanche per un eventuale turn over Letta-Renzi, qualora prendesse corpo una simile volontà politica. Certo, allo stato dei fatti, resta un’ipotesi ardita, per tutta una serie di incognite. Incognite che in qualche misura graverebbero anche sul quadro (quasi minimalista) di un eventuale rimpasto e, ancora di più, su un reincarico di Letta. I rimpasti, infatti, si fanno quando c’è un forte consenso sull’assetto già esistente del governo, per cui si pensa che all’esecutivo in fondo può bastare una sorta di ma- quillage. Nella prassi, poi, un bis del premier si fa se e quando si richiede una marcata discontinuità politica, un riequilibrio sul quale esista un consenso stringente e sicuro.
Ora, nell’una come nell’altra eventualità e come pure nello schema di un Renzi capo del governo, le procedure costituzionali imporrebbero di far scattare una crisi formale che, per quanto si supponga pilotabile e dunque non al buio, una volta aperta non si è mai sicuri di come potrà essere chiusa. Dell’ultima congettura vagheggiata dai 5 Stelle, quella di un’immediata rincorsa verso le urne, sul Colle non si vuol nemmeno parlare, perché materializzerebbe un rischioso vuoto politico e istituzionale. Uno scenario dinanzi al quale, è noto, Napolitano potrebbe perfino decidere di lasciare lui subito. Con il problema che sarebbe questo Parlamento a dover eleggere il suo successore.
Marzio Breda


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