Per il Colle uno sfregio con l’obiettivo della delegittimazione

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ROMA — Presidente, i dirigenti del 5 Stelle hanno appena depositato la denuncia per la sua messa in stato d’accusa: è preoccupato? «Faccia il suo corso», sillaba Giorgio Napolitano, con la laconicità tranchant di uno che affronta la bufera a testa alta. Vuole evitare commenti e sceglie di rimettersi alle regole. Senza confessare ansie o timori di qualsiasi tipo. Un modo, insomma, per dare un’idea di «serenità, tranquillità e fiducia» nel giudizio di cui sarà presto investito il comitato parlamentare destinato a gestire questo tipo di eccezionali procedimenti.
È l’unica risposta possibile, almeno per il momento, alla sfida del Movimento di Beppe Grillo. Sfida che al Quirinale è in realtà vissuta come uno sfregio. Cioè come una mossa platealmente propagandistica (e infatti un paio di mesi fa il comico trasformatosi in leader, minacciandola, confessava che era tutta «un’invenzione politica per far capire da quale parte stiamo»), studiata per esasperare il caos di queste ore e per eccitare un clima di scontro permanente. Non a caso quest’iniziativa si salda con l’ingresso della violenza in Aula, mercoledì (un episodio che ha avvilito il presidente), con l’«assalto» dei pentastellati alla presidenza della Camera e con il «sequestro» di alcuni uffici di Montecitorio. Per inciso, estrema e ridicola contraddizione delle truppe grilline: adesso bombardano anche il quartier generale del Paese, il Colle, dopo che solo due o tre giorni fa avevano fatto recapitare proprio qui una lettera nella quale Napolitano veniva definito «il custode e il presidio supremo della Costituzione».
Siamo dunque nel pieno di una sgangherata campagna, che si fa strada in diversi modi: in sede politica come su alcuni mass media, attraverso irruzioni d’impronta squadristica (vedi l’eco dei ripetuti e compiaciuti «boia chi molla») mirate a infangare la persona del capo dello Stato ma, soprattutto, a destabilizzare l’istituzione presidente della Repubblica. Ecco le riflessioni di chi è vicino al capo dello Stato in questi giorni e si trova a recriminare su quelle che, almeno fino all’altro ieri, sono state «reazioni deboli» a tutto questo. Come ci si potrebbe aspettare da una comunità senza gli anticorpi della memoria.
Altre preoccupazioni legate al preteso «attentato alla Costituzione», al Quirinale non ce ne sono. Neppure il più ipotetico caso di scuola concretizza, durante il doppio mandato di Napolitano, violazioni di quella natura. I sei capi d’accusa sono anzi viziati da «paradossi interni», che rendono quanto mai «strampalata» la richiesta di impeachment, come sbagliando si dice, mettendo sullo stesso piano il sistema italiano e quello degli Stati Uniti. Tra gli altri, lo ha spiegato ieri in dettaglio il costituzionalista Stefano Ceccanti. Basterebbe un punto carico di suggestioni, e riproposto in mille esasperati comizi, per smontare le tesi dei Cinque Stelle: quello sul conflitto con la Procura di Palermo, nel quale la denuncia appena presentata non tiene conto che c’è addirittura un giudicato della Corte costituzionale (la cosiddetta «ultima istanza») a dare ragione al presidente della Repubblica.
C’è però un rischio strisciante, legato alla prova di forza: lo segnala Davide Galliani, docente di Diritto pubblico alla Statale di Milano, autore di un saggio recente sull’evoluzione politico-costituzionale degli inquilini del Colle. Per lui, già il solo invocare la messa in stato d’accusa di Napolitano può contribuire ad appannare, se non proprio a far venire meno, la legittimazione del capo dello Stato. Legittimazione dalla quale trae in buona parte la possibilità di fare quello che fa, salvando il salvabile, nella nostra transizione infinita.
Un problema che diventerebbe tanto più concreto e serio nella prospettiva che tutto debba trascinarsi per settimane e mesi, con un devastante riverbero politico-mediatico. Un nodo molto delicato che spetterà al comitato parlamentare affrontare, nell’ambito delle proprie competenze. Si sa, ad esempio, che la procedura prevede che si possa deliberare l’archiviazione, a prescindere da specifiche indagini, in una fase assolutamente preliminare. Quindi, poiché stavolta vengono sollevate questioni soltanto giuridiche, queste potrebbero essere valutate in maniera, sì, approfondita — sentendo magari alcuni costituzionalisti di diverso orientamento — ma senza tirarla troppo per le lunghe. Il che potrebbe appunto avere effetti nefasti sulla tenuta dell’intero sistema, sotto stress ormai da troppo tempo. E d’altra parte, nei precedenti casi di richiesta per una messa in stato d’accusa (che, se venisse accolta, implicherebbe tutta una serie di conseguenze, a partire dalla sospensione della carica), non risulta che siano state svolte particolari indagini.
Marzio Breda


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