Anp: giovane “assassinato” da soldati israeliani
Per i palestinesi è stato un omicidio, per Israele invece l’uccisione di un “terrorista”. E’ la vicenda Mohammed Mubarak, 19 anni, ucciso ieri da soldati israeliani non lontano dall’insediamento colonico di Ateret, vicino Ramallah. Per il ministro palestinese dei lavori pubblici Maher Ghaneim, siamo di fronte a «un omicidio a sangue freddo» e deve essere respinta totalmente la versione israeliana dell’accaduto. Ghneim ha riferito che il giovane — che era impiegato in un progetto di ricostruzione finanziato dall’agenzia governativa americana “Usaid”, in cooperazione con il ministero dei lavori pubblici palestinese — stava dirigendo, nel suo orario di lavoro, il traffico nella zona quando è stato colpito mortalmente dai soldati israeliani. L’agenzia di stampa palestinese Maan ha aggiunto che Mohammed Mubarak «mentre era al lavoro, soldati israeliani sono sopraggiunti ed hanno cominciato a vessarlo. Lo hanno costretto a togliersi le scarpe e poi a rimetterle. Poi gli hanno ordinato di fare pochi passi in avanti e indietro. Quindi gli hanno sparato lasciando sanguinante e impedendo alle ambulanze e ai medici di raggiungerlo».
Invece coloni e soldati israeliani sostengono che il giovane palestinese avrebbe estratto all’improvviso un’arma e cominciato a sparare. Secondo una fonte militare, avrebbe sparato «17 salve di colpi di un fucile mitragliatore Carl Gustav» verso una postazione dell’esercito che ha risposto la fuoco. Lo scambio di colpi, ha aggiunto, sarebbe durato due o tre minuti dopo il quale un’unità della Brigata Nahal ha ucciso il palestinese. Ieri pomeriggio, in clima di rabbia e dolore, si sono svolti i funerali di Mohammed Mubarak nel campo profughi di Al-Jalazoon (Ramallah), dove il padre dell’ucciso è il leader dei comitati popolari locali. In piazza Manara a Ramallah è stato organizzato un raduno di protesta e la maggior parte dei negozi del centro ha abbassato le serrande in segno di rispetto per la giovane vittima.
Non c’è tregua per i rifugiati anche di un altro campo profughi, non in Palestina ma in Siria. Il gruppoWorkforce for Palestinians in Syria riferisce la morte a Yarmouk (Damasco), per inedia o per mancanza di farmaci, di altre sette persone negli ultimi giorni, che si aggiungono alle decine di vittime registrate da settembre. Il campo, dove si sono asserragliati combattenti jihadisti in gran parte stranieri, dallo scorso luglio è circondato dall’esercito siriano. Sabato scorso, per la prima volta in sei mesi, erano entrati 200 lotti di aiuti alimentari, mentre decine di persone, in maggior parte donne e bambini, erano state trasferite in ospedale. Cibo e medicine non sufficienti per i bisogni di 18 mila (dei circa 150 mila) abitanti rimasti intrappolati a Yarmouk e ormai allo stremo.
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