Renzi chiama l’ultimo giro
Le sorti della legge elettorale, del governo e della legislatura si decideranno nelle prossime 48 ore. Matteo Renzi va giù duro: «Se si affossa la legge elettorale è difficile pensare a una spazio di speranza per questa legislatura. Ma io sono ottimista. L’accordo non può saltare per uno 0,5%…». Poche ore e Enrico Letta raccoglie la palla ostentando anche lui massima fiducia: «Se c’è l’accordo il più felice sono io. Un risultato positivo rafforzerà il governo».
Entrambi i leader occultano le difficoltà, che non sono affatto superate. Si tratta di fare ingoiare a Forza Italia una legge elettorale se non proprio opposta certo molto diversa da quella che Silvio Berlusconi aveva concordato con Matteo Renzi. Con un doppio turno che da eventuale passa a quasi certo, dato l’ormai assodato innalzamento della soglia per accedere al premio di maggioranza al 38% (un cedimento azzurro certificato ieri sera da Denis Verdini, sul quale avrebbe pesato moltissimo la suasion non solo morale del Colle). E con soglie di sbarramento drasticamente abbassate: non solo quella per i partiti in coalizione ma anche quella per i partiti che si presentano da soli.
E’ il prezzo che Berlusconi dovrebbe pagare per il ritorno al centro della scena politica, stavolta addirittura in veste di padre della patria e “grande vecchio” (a cosa altro servono quelle foto per la prima volta piene di rughe comparse sul Sunday Times, se non ad accreditare la nuova immagine e l’inedito ruolo?). Partita rischiosa. Se il Cavaliere s’imbizzarrisce salta tutto, e a fare le spese di un tracollo non sarebbe solo il governo ma anche, nelle urne, il Pd. Solo che lui, Silvio il Saggio, tornerebbe di corsa nel girone infernale degli appestati e degli intoccabili. Ne vale la pena?
Quella che si sta giocando è in realtà una partita doppia. Su un tavolo c’è la longevità dell’esecutivo. Il governo è uscito certamente indebolito dalla vicenda De Girolamo. La ormai ex ministra dell’Agricoltura ha rassegnato dimissioni al vetriolo, accusando Letta, ma tra le righe anche il leader del suo partito Angelino Alfano, di non averla difesa abbastanza. E’ addirittura possibile quel rientro all’ovile, nelle file del partito d’Arcore, invocato da Nitto Palma ma smentito dal capo dei senatori azzurri romani. Dovunque finisca donna Nunzia, la sua polemica dipartita per il governo è una grana, anche se Letta, che per ora ha assunto l’interim all’Agricoltura, spera di trasformare il guaio in utile opportunità sostituendola con un renziano doc come Oscar Farinetti, il creatore di Eataly.
Non ha aiutato l’improvvida uscita domenicale del capo dei deputati forzisti Renato Brunetta: «Se si fa la legge elettorale, poi si vota. E’ difficile che una pistola caricata non spari». A modo suo si tratta di una ovvietà, ma il solo fatto che un alto dirigente azzurro la abbia esplicitata semina il panico. Fioccano così emendamenti alla legge elettorale studiati apposta per ostacolare l’eventuale voto anticipato, in particolare quelli che mirano a cancellare la legge elettorale per il Senato. Senza quella “rete di protezione” votare prima che il Senato medesimo sia stato cancellato diventerebbe davvero impossibile.
Alla partita sulla tenuta del governo si affianca quella per impedire che Silvio Berlusconi esca dalla vicenda come trionfatore. Dal giorno dell’incontro con Renzi nella sede del Pd al Nazareno, l’ex “cadavere” è tornato più vivo e vegeto che mai. Con una legge fatta a sua misura rischia forte di strappare per l’ennesima volta al Pd una vittoria apparentemente facile. Alzare la soglia per il premio di maggioranza e allo stesso tempo abbassare quella per i partiti, in particolare per quelli che non si presentano coalizzati, ha appunto l’obiettivo di togliergli l’appena riconquistato scettro sull’intero centrodestra.
Sia pure a denti stretti, Silvio Berlusconi è orientato a cedere sulla soglia per il premio di maggioranza. Ma per pareggiare il conto si è irrigidito su quelle di sbarramento, sia per i partiti in coalizione (sulla quale era pronto a mollare prima che l’intervento del Quirinale lo mettesse alle strette sul fronte del premio di maggioranza) sia, a maggior ragione, per i partiti non coalizzati. Sulle preferenze, poi, non c’è mai stato dialogo.
La vita del governo e quella della legislatura sono appese al braccio di ferro delle prossime ore su questi due fronti.
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