Lettonia: dall’Unione segnali minacciosi

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Prima l’Estonia, poi la Litua­nia dal pros­simo 1° gen­naio 2015. Il pre­sente è tutto della Let­to­nia che però, fino a cin­que mesi fa, fu redar­guita dal Fondo mone­ta­rio inter­na­zio­nale (sulla scorta di quanto suc­cesso a Cipro qual­che mese prima), dopo un’anomala impen­nata del 17% nel 2012 som­mata ad un +5% del primo tri­me­stre 2013, dei depo­siti ban­cari di non resi­denti. Anche in que­sto caso, come nell’isola medi­ter­ra­nea, c’era lo zam­pino di inve­sti­tori russi.

«Per que­sto motivo, dall’Unione Euro­pea, siamo ancora tenuti sotto con­trollo: d’altra parte, i fondi di depo­sito off­shore rap­pre­sen­tano circa il 40% del nostro Pil – spiega Janis Ošlejs, ammi­ni­stra­tore dele­gato e busin­ness­man della più impor­tante com­pa­gnia di mate­riale di costru­zione let­tone Pri­mekss Group – Cosa suc­ce­derà, mi chiedo, se insor­ge­ranno delle dif­fi­coltà in tal senso?».
Se, da una parte, c’è comun­que voglia di pro­vare la nuova avven­tura euro­pea, lo scet­ti­ci­smo di que­sti giorni, aumenta soprat­tutto nei pen­sieri degli ana­li­sti finan­ziari: «Dispiace dirlo ma dall’Europa non fanno che giun­gere sce­nari minac­ciosi: tutti gi stati che alle spalle non ave­vano un set­tore indu­striale solido e robu­sto come Por­to­gallo, Gre­cia, Cipro e Spa­gna, sono pre­ci­pi­tati in un pozzo senza fondo di debiti. La Let­to­nia, a mio modo di vedere, corre anch’essa grandi rischi per­ché non era ancora pronta ad affron­tare un cam­bia­mento simile».

«Anche per­ché – spiega sem­pre Ošlejs – l’Unione non dà alcun tipo di garan­zia finan­zia­ria: se uno stato è in crisi, Bru­xel­les ha già dimo­strato di non avere soldi da inve­stire per aiu­tarlo. Fin­chè non ci si deci­derà ad adot­tare un sistema fede­rale come negli Stati Uniti, con un governo cen­trale in grado di assi­stere tutti gli stati mem­bri, l’Europa con­ti­nuerà a ver­sare in con­di­zioni di affanno». Dal suo punto di vista, inol­tre, si potreb­bero regi­strare pro­ble­ma­ti­che nella vita comune e nell’importante set­tore delle espor­ta­zioni: «A causa degli ine­vi­ta­bili arro­ton­da­menti, un po’ com’è già suc­cesso nel resto del con­ti­nente. Que­sto alzerà dra­sti­ca­mente il costo della vita ed il nostro export, che tanto eccel­leva, sarà molto meno competitivo».

Più pru­dente, cer­ta­mente meno pes­si­mi­sta, nelle sue pre­vi­sioni, Dai­nis Gaš­pui­tis, l’esperto di macroe­co­no­mia di Seb Banka, uno dei più impor­tanti isti­tuti ban­cari della Let­to­nia: «Per il paese si tratta di un grosso salto da com­piere. Non sarà facile, ma le stime della nostra con­ti­nua cre­scita di pro­dut­ti­vità e di espor­ta­zioni, attual­mente, sono tra le migliori in tutto il con­ti­nente. Sicu­ra­mente, in quanto a cre­scita in per­cen­tuale, abbiamo pochi rivali. Tut­ta­via, biso­gnerà asso­ciare tutto ciò a uno stile di vita che ine­vi­ta­bil­mente cam­bierà, con la nuova moneta. E’ una scom­messa da vin­cere: anche in que­sto caso, ci sarà biso­gno di tutta la buona lena del popolo let­tone». Tra macro e micro eco­no­mia: cosa pre­oc­cupa di più? «Sono due set­tori distanti ma in qual­che modo uniti: ora la gente si sta pre­oc­cu­pando a quali sono i tassi di cam­bio, a quali potranno essere gli arro­ton­da­menti, i pic­coli o grandi rin­cari, a come inve­stire la nuova valuta e come verrà para­me­trata alla vita di tutti i giorni. In Europa ci sono dei con­ti­nui stan­dard da rispet­tare e non sem­pre, si sa, si rice­vono indie­tro grossi bene­fici». «Detto que­sto – pro­se­gue Gaiš­pui­tis – la Let­to­nia ha pas­sato un periodo di crisi severa e, a mio modo di vedere, l’euro rap­pre­sen­tava la stra­te­gia prin­ci­pale per pas­sare oltre e ini­ziare ad avere voce in capi­tolo con il resto del con­ti­nente, dopo i miglio­ra­menti già pale­sati con l’utilizzo del lat. Ora è come far parte di una par­tita che la Let­to­nia deve essere in grado di gio­care con per­so­na­lità». Tra dodici mesi sarà il turno della Litua­nia: «Uno stato dall’economia molto simile alla nostra: sicu­ra­mente saprà far tesoro delle espe­rienze pre­gresse delle altre due repub­bli­che baltiche».


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