Il segretario apre l’altro fronte Agenda di «fatti concreti» per il programma di governo

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ROMA — Il segretario del Pd cammina (anzi, corre) su un doppio binario. Quello delle riforme che, alla Camera, Matteo Renzi porterà a casa i primi di febbraio. L’impresa non è facile: «Mi aspetto scherzetti da un momento all’altro», confida il leader del Partito democratico ai suoi. E non si riferisce ai parlamentari del suo gruppo, ma alle sacche di «conservazione» che «resistono al cambiamento».
L’altro binario è quello del governo: «Io non faccio resistenza, sono pronto ad avanzare le proposte che servono». Su questo fronte il credo del sindaco di Firenze è uno e uno solo: «Cose concrete, niente chiacchiere». Tra le «cose concerete», il primo cittadino del capoluogo toscano pone una questione.
Una questione che sarà nel programma di governo che il Pd offrirà a Letta: «Cinque miliardi di investimenti che l’Europa deve accettare fuori dal patto di Stabilità per ristrutturare gli edifici scolastici». Una frase che non è stata detta «en passant». Sarà uno dei punti su cui il Partito democratico insisterà nel momento in cui Enrico Letta chie-derà di chiudere il patto di governo che è stato ribattezzato «Impegno 2014».
Già, perche il leader del Pd ha molte proposte sul tappeto, «una più concreta dell’altra». Non di sola legge elettorale si vive e Renzi sembra esserne più che conscio. Tant’è vero che sta sollecitando ai «suoi» parlamentari proposte e suggerimenti per il programma di governo che verrà. Ed è su quel binario che ormai viaggia il treno di Renzi: «Fatti concreti, proposte concrete», è il suo nuovo slogan. Tant’è vero che quando Letta (che ha sentito ancora ieri) e Franceschini (che sente un giorno sì e l’altro pure) gli hanno posto il tema del rimpasto, il sindaco di Firenze ha fatto orecchie da mercante. Il tema non lo appassiona. Di più: non ne vuol sentir parlare. Almeno fino a quando il governo non avrà deciso di «fare sul serio». Ma anche dopo è difficile. Renzi resisterà alle lusinghe di un rimpasto che si limiterebbe a due, tre ministeri: «Non mi interessa chi va dove».
Per farla breve, Renzi non vuole «un aggiustamento» per ricalibrare uomini e rapporti di forza, o per dare una pennellata di nuovo al programma di governo. «Non hanno capito niente di me», continua a ripetere il segretario del Pd, che non si capacita del fatto che il suo «no» al rimpastino non venga preso per quello che è. Ossia un no, punto e basta.
Per questa ragione, pur seguendo la procedura «programma di governo» e dando gli ultimi ritocchi al «Jobs act», il primo cittadino del capoluogo toscano continua a seguire con grande attenzione la «pratica riforma elettorale»: «Perché so che su questo mi gioco l’osso del collo… di più, su questo mi posso auto-ammazzare».
Ma il gioco vale la candela, secondo il sindaco di Firenze, perché, come confida ai suoi, «il 35 per cento è una meta assolutamente a portata di mano, tanto più che secondo me gli elettori di Beppe Grillo sono già in libera uscita».
Sono i 5 Stelle l’obiettivo di Renzi. O meglio, i loro elettori, perché stando a tutti i sondaggi è lì che il Pd può fare il salto, è quella l’area che alle urne può fare la vera differenza. Ed è chiaro che se il segretario del Partito democratico porta a casa le tre riforme su cui punta, quella elettorale, l’abolizione del Senato e la revisione dell’articolo V della Costituzione, Grillo avrà un’arma in meno e «noi dei voti in più».
Maria Teresa Meli


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