Veleni, bonifiche e mazzette a Milano
Tutto era iniziato con una nave sospetta. Si chiamava Zeeland, partita il 6 febbraio del 2011 dal porto di Genova e arrivata a Siviglia, in Andalusia, dopo quattro giorni di navigazione nel mar Mediterraneo. Con un carico d’altri tempi, migliaia di big bags bianchi pieni di scorie. Nerofumo contaminato da mercurio, estratto dalle terre di Pioltello, zona industriale alle parte di Milano. Era il frutto di una bonifica più che sospetta. Il18 febbraio di quell’anno il manifesto raccontava — unico giornale in Italia — di queste nuove rotte dei veleni, targate Ministero dell’Ambiente, con navi caricate velocemente e troppi silenzi istituzionali.
Tre anni dopo la Dda di Milano ha chiuso questa storia — di veleni e mazzette — con sei arresti e decine di indagati che risponderanno di traffico illecito di rifiuti. Eccellenti i nomi: il patron dell’Unendo — gigante dei rifiuti, nato da una famiglia arrivata da San Giorgio a Cremano — Francesco Colucci e l’ex commissario di governo per le bonifiche — uomo di fiducia di Stefania Prestigiacomo — Luigi Pelaggi, finiti tutti e due agli arresti in carcere, insieme all’amministratore delegato della Daneco — società del gruppo responsabile della bonifica di Pioltello — Bernardino Filipponi. Nomi forse pochi noti, ma che compongono una parte importante del Gotha dei rifiuti.
Dietro la storia dei veleni di Pioltello per i magistrati milanesi c’era soprattutto una tangente di «almeno settecento mila euro», partita dall’imprenditore della monnezza e diretta al commissario di governo. Soldi che i carabinieri del Noe di Milano — coordinati dal colonnello Sergio De Caprio — hanno tracciato tra il marzo e l’aprile del 2011, dopo una telefonata intercettata il 15 marzo. L’amministratore delegato della Daneco rispondeva senza tanti giri di parole ad un funzionario, che gli ricordava «sai i 700 dove vanno». «lo so, lo so — rispondeva l’uomo di Francesco Colucci — e c’è andata bene anche questa volta. Questo commissario è fantastico». Un commissario che rispondeva al nome di Luigi Pelaggi, incaricato dal ministro Stefania Prestigiacomo di seguire per il governo quella delicata operazione di bonifica dell’area dell’ex fabbrica Sisal di Pioltello. Per i magistrati c’erano, fin dall’inizio della vicenda, «anomali rapporti» tra Francesco Colucci e Luigi Pelaggi. Dialogano solo con sms, mostrando una «inusuale familiarità», che strideva con il ruolo in teoria super partes del commissario. I contatti tra i due sarebbero poi avvenuti «in momenti cruciali delle opere di rimozione dei rifiuti», quando si doveva decidere dove smaltire le scorie pericolose intrise di nerofumo e mercurio. Dopo la telefonata i carabinieri iniziano a seguire da vicino Pelaggi, che — in quei giorni — intensifica i contatti con la sua consulente finanziaria, preparandosi ad investimenti di peso. Cerca una cassetta di sicurezza ampia, un luogo sicuro dove mettere qualcosa al riparo dagli sguardi indiscreti. E quando si rende conto che la procura di Milano è sulle sue tracce, la svuota, racconta il Gip Luigi Varanelli.
Che qualcosa non funzionasse era in fondo chiaro fin dall’inizio. Il comportamento ritenuto anomalo di Luigi Pelaggi diventa evidente al momento dell’affidamento alla società di Francesco Colucci della gara di appalto per la bonifica. Il commissario — spiega la Dda di Milano — chiede le obbligatorie informazioni antimafia solo dopo l’aggiudicazione della gara. E non era un passaggio banale. Il gruppo della famiglia Colucci — si legge nell’ordinanza di custodia cautelare — aveva avuto in passato una segnalazione di rilievo: nel 2006 il consiglio di Stato scriveva che vi era una «permeabilità dei Colucci ai condizionamenti operanti dalle organizzazioni criminali, in particolare nel settore della raccolta rifiuti». Non solo. La prefettura di Milano — si legge nell’ordinanza del Gip — «aveva adottato nel 2010 informative antimafia cosiddette «atipiche» nei confronti della Daneco Impianti srl», società riconducibile a Colucci. Nonostante queste informazioni, Luigi Pelaggi non rescindeva il contratto, come prevedeva la legge. Il commissario conferma l’affidamento della bonifica al gruppo, spiegando che c’era una situazione di emergenza, dove l’Italia rischiava di pagare una pesante multa per l’infrazione delle norme europee, avviata da Bruxelles sulla mancata bonifica di Pioltello.
Già alla fine del 2010 i veleni di Pioltello iniziano a girare per l’Europa. Prima partono le navi verso la discarica di Nerva, sul Rio Tinto. Il primo allarme scatta proprio in Spagna, quando un camion carico di nerofumo si rovescia, rendendo evidente il carico che arrivava dall’Italia. I gruppi ecologisti dell’Andalusia (Egologistas en accion e Greenpeace) riescono a fotografare lo svernamento delle terre contaminate partite da Genova, mostrando come quella discarica non avesse le caratteristiche per accogliere rifiuti pericolosi. Il manifesto cercò di contattare proprio Luigi Pelaggi, il commissario di governo che avrebbe dovuto garantire la trasparenza di quella bonifica. Tutto inutile, le bocche degli interessati erano cucite. Dopo l’operazione spagnola iniziarono gli stoccaggi in Italia, nelle discariche del nord. Secondo la Procura in moltissimi casi la Daneco — con la complicità di Pelaggi — avrebbe declassificato le terre contaminate, per abbassare i costi di smaltimento. Un vecchio trucco dei trafficanti di rifiuti: trasformare — solo sulla carta — una sostanza pericolosa in qualcosa di apparentemente innocuo. Un’alchimia che in Italia non si è mai fermata.
Nella vicenda appare anche una società strategica del re romano dei rifiuti, Manlio Cerroni. La sua Systema Ambiente era uno dei siti incaricati per lo smaltimento dei veleni di Pioltello. Nella discarica di Montichiari nel marzo del 2011 arrivano 10 mila tonnellate di scorie pericolose dalla zona di bonifica, con un cambio di codice di classificazione ritenuto illecito dalla Dda di Milano. Le analisi che hanno permesso la trasformazione dei rifiuti le ha condotte il laboratorio Crc di Montichiari, controllato dalla stessa Systema Ambiente. La società riceve poi 21 mila tonnellate di rifiuti pericolosi (nerofumo), classificandoli come non pericolosi, inviati alla discarica Transeco di Inzago, in provincia di Milano. Il nome della Systema ambiente era già apparso nelle indagini della procura romana che hanno portato all’arresto di Cerroni lo scorso 9 gennaio. Qui lavorava Fabio Ermolli, il tecnico dell’Arpa Lazio passato dal gruppo del «Supremo» della monnezza romana all’organismo di controllo regionale sui rifiuti. Un’incompatibilità che è costata ad Ermolli l’iscrizione nel registro degli indagati. Oggi, dopo la caduta del re di Malagrotta, si aggiunge un’inchiesta che racconta — qualora ce ne fosse bisogno — la via infinita dei veleni, con rotte mai interrotte.
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