Tra preferenze e nominati la casta salva la poltrona

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Restaurare il sistema delle preferenze avrebbe fatto la felicità di gente come Fiorito, vero. Ma lasciare a un padrone solo la gestione della vita di ciascun eletto e finanche delle sue presenze in tv conferma che non ci sarà scelta malgrado la richiesta della Consulta: in Parlamento si entra per nomina. E da deputato si trasformerà in pigiabottoni. Ciò che ordina il capo si vota. Ciò che lo turba si respinge. O sei cooptato oppure pedalare.
PER ARRIVARE a questo risultato Matteo Renzi ha dovuto stringere un patto d’acciaio con Silvio Berlusconi (e forse anche con Dudù). Riesumarlo, restituirgli il cavalierato, l’onore perduto, il vestito da statista e l’opportunità di divenire in zona Cesarini, quando tutte le stelle sotto il suo cielo si erano offuscate, il nuovo padre della Patria. Immaginiamo lo sforzo che ha dovuto fare B. nell’accettare la dura proposta di far vergare da Denis Verdini (in linea retta quarto padre della Patria) la lista dei candidabili del centrodestra. Tu entri e tu no. Tu vai in Liguria e tu in Piemonte. “Intanto però noi cambiamo l’Italia”, ha detto Renzi alla riunione della direzione del Partito democratico. Chi meglio di lui conosce il suo partito? Nessuno. Perciò ha zittito il dissenso, dissoltosi in un pugno di voti di astensione, quando ha offerto la chiave della pacificazione: “Noi faremo le primarie per la selezione dei candidati. Le ho trovate già, le ha inventate Bersani, non è certo merito mio, e vi garantisco fin quando ci sarò io qua che confermerò questo sistema”. Per magia tutte le rimostranze sulla restrizione della principale libertà elettorale, indicare con un voto il candidato che ci dà fiducia o respingerlo se quella fiducia viene meno, si sono appannate, affievolite e fatalmente ripulite. Renzi ha offerto ai maggiorenti del Pd, non all’Italia, un papocchio a uso interno, una corrida selezionatrice per criterio correntizio nella quale sviluppare la contesa. La selezione dei candidati al Parlamento attraverso le cosiddette “parlamentarie”. Si sono effettivamente svolte nel gennaio dello scorso anno.
Doveva essere un libero esercizio di democrazia, si è rivelato, nella maggioranza dei casi, una nomination con esito pregiudicato. Si sapeva chi vinceva e nella maggioranza dei casi chi perdeva. Il capocordata investiva i suoi voti (filiazione verticale della dotazione interna del segretario) sul volto di questo o di quello, meglio se giovane. E il giovanotto prescelto dall’alto, magicamente, si è trovata spalancata la porta di Montecitorio. Belle queste primarie! E infatti in sala è calata improvvisa la timidezza degli annunciati oppositori, mentre ad avanzare in grande stile la prossima battaglia sulla restituzione delle preferenze è rimasto solo Angelino Alfano e il suo Ncd, partito di macinatori di tessere dal curriculum specchiatamente democristiano.
E SE È VERO, perchè è vero, che la riforma elettorale risulta un elemento significativo di una più generale riforma della Costituzione (riduzione del Senato ad assembnlea consultiva, taglio dei costi della politica attraverso l’eliminazione delle indennità dei nuovi senatori) è certo che Renzi rinuncia nei fatti a ogni elemento di democratizzazione del mercato politico. Le primarie sono apparse come una concessione ai capicorrente del Pd e non un impegno, un criterio di selezione a cui tutti i partiti, di destra come di sinistra, in alto e in basso, avrebbero dovuto ubbidire per legge. Ma era questo l’obiettivo di Rebnzi? Pare di no, e permette perfino al leghista Calderoli, il patron del Porcellum, di gigioneggiare: “La montagna ha partorito un Porcellinum”.
Un po’ è così, ed è fuori dal conto un’altra domanda a cui Renzi non ha risposto. Non l’aveva in mente, vero, ma nessuno neanche l’ha interrogato. Si parla di legge elettorale: ma chi potrà candidarsi? Il conflitto d’interessi, urgenza democratica sulla quale il segretario del Pd ha da subito convenuto, è nei fatti restituita alla selezione che ne farà Silvio Berlusconi, l’altro grande attuatore della riforma. Si presume che B. rifletterà mentre sarà ai servizi sociali (il prossimo 10 aprile i giudici dell’esecuzione si ritroveranno per decidere) su chi potrà candidarsi. Possibile che scelga la figlia Marina, e dunque?
E niente. Alla spicciolata, cinque minuti per ciascuno, i maggiorenti di largo del Nazareno hanno tributato a Renzi le loro perplessità che nel corso della seduta si sono affievolite fino quasi a divenire un romantico coro d’amore.
Tutti insieme e (quasi) appassionatamente verso l’Italicum, un sistema che salva i nuovi potenti e i vecchi perdenti


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