Umiliante sintonia

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Ma quando una sin­to­nia è «pro­fonda» risulta molto dif­fi­cile per chiun­que — soprat­tutto nella mag­gio­ranza di governo — distur­barla facendo «la voce grossa». Spe­cial­mente quando si hanno per­cen­tuali elet­to­rali a una cifra («non per­met­te­remo il ricatto dei pic­coli par­titi», è l’avvertimento di Renzi).

Dopo più di due ore di fac­cia a fac­cia e una breve dichia­ra­zione ai gior­na­li­sti, il segre­ta­rio del Pd ha dato appun­ta­mento a lunedì quando nella dire­zione del par­tito arri­verà la pro­po­sta di legge elet­to­rale e di riforma costi­tu­zio­nale. Dun­que manca qual­che ora per cer­care un «patto» nella mag­gio­ranza. Tut­ta­via den­tro la par­tita poli­tica ieri se ne è gio­cata un’altra, for­te­mente simbolica.

Nes­suna tele­ca­mera ha mostrato imma­gini dell’incontro (per pudore resi­duo, per ver­go­gna, per paura dell’impopolarità?), che nes­suno poteva imma­gi­nare qual­che set­ti­mana fa, soprat­tutto dopo la cac­ciata di un pre­giu­di­cato dal Par­la­mento: la scelta di Renzi ha di fatto ria­bi­li­tato un lea­der dimez­zato dai guai giudiziari.

Forse il segre­ta­rio del Pd voleva can­cel­lare la sua pro­fonda incoe­renza, facendo dimen­ti­care certe frasi roboanti che appena qual­che mese fa era diven­tate titoli di prima pagina. Dopo la sen­tenza della Cas­sa­zione «per Ber­lu­sconi la par­tita è finita, game over», disse com­pia­ciuto per aver azzec­cato la bat­tuta giu­sta. Ma per i poli­tici la coe­renza non è una virtù e il gio­vane Renzi con­trad­dice cla­mo­ro­sa­mente la sua liqui­da­to­ria bat­tuta rice­vendo il lea­der di Forza Ita­lia addi­rit­tura nella sede del Par­tito demo­cra­tico. Un atto di arro­ganza dun­que verso il suo stesso par­tito, anche se non verso la sto­ria, basti ricor­dare i rap­porti con D’Alema e con Veltroni.

Ma ora la situa­zione è diversa: in nes­sun paese nor­male può acca­dere che a deci­dere le riforme (elet­to­rali e costi­tu­zio­nali) venga chia­mato un per­so­nag­gio che i magi­strati stanno per asse­gnare ai ser­vizi sociali o agli arre­sti domi­ci­liari. E sic­come la forma è sostanza que­sta sfida sim­bo­lica dice molto dell’invulnerabilità da cui Renzi si sente pro­tetto. Un uomo solo al comando dopo il ple­bi­scito delle pri­ma­rie. Che umi­lia almeno una parte dell’elettorato del Pd.

Il brac­cio di ferro tra il segre­ta­rio, il pre­si­dente del con­si­glio e la mag­gio­ranza di governo è arri­vato al punto di mas­sima ten­sione, mol­ti­pli­ca­tore di un con­flitto nel Par­tito demo­cra­tico ancora fra­stor­nato dal cam­bio dei ver­tici e dalla geo­gra­fia mobile delle cor­renti. Per certi versi sem­bra di assi­stere ai vec­chi riti demo­cri­stiani quando il segre­ta­rio Dc attac­cava il governo Dc le cui sorti erano alla fine decise dal gioco delle cor­renti di piazza del Gesù.

Per­ché somi­glia molto ad un gioco demo­cri­stiano que­sta trian­go­la­zione tra Letta, Renzi e Alfano che cer­cano di farsi lo sgam­betto per poi meglio accor­darsi e chiu­dere la par­tita della legge elet­to­rale in modo che sod­di­sfi le esi­genze di tutti. Però quando al tavolo è seduto anche Ber­lu­sconi c’è sem­pre il rischio che decida di ribal­tarlo. E a pen­sarci bene, che a deci­dere sul futuro del nostro Paese sia un pre­giu­di­cato non è umi­liante solo per un par­tito, ma per tutti.


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