La corrida di Renzi

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Gio­vedì Mat­teo Renzi ha annun­ciato l’intenzione di andare a tro­vare Pier­luigi Ber­sani — ancora in ospe­dale a Parma, ma da ieri uffi­cial­mente fuori peri­colo – prima di chiu­dere sulla legge elet­to­rale. Enrico Letta lo ha anti­ci­pato: ci è andato ieri. Così al capez­zale dell’ex lea­der che prima l’uno poi l’altro hanno tro­vato il modo di, poli­ti­ca­mente, col­pire, si con­suma la spac­ca­tura tra le due macroa­ree demo­cra­ti­che: gover­na­tivi e no. La faglia passa oltre le divi­sioni del con­gresso e per que­sto è più peri­co­losa per Renzi. Molti gover­na­tivi sono nella sua mag­gio­ranza. Se non il voto nella dire­zione di lunedì, il rispetto di quel voto nel com­por­ta­mento par­la­men­tare dei gruppi demo­cra­tici è a rischio. Avvisi non man­cano, da una parte e dall’altra. Men­tre il segre­ta­rio si avvia ad incon­trare Ber­lu­sconi, la guerra di nervi si avvi­cina al punto di rot­tura. Il punto in cui in genere si trova un accordo.

Lo sug­ge­ri­sce l’analisi delle rispet­tive con­ve­nienze. Quella di Renzi a non pre­ci­pi­tare verso le ele­zioni con il pro­por­zio­nale uscito dalla sen­tenza della Con­sulta, un sistema elet­to­rale che lo pena­lizza, e la patente di ria­bi­li­ta­tore di Ber­lu­sconi; quella di Letta di non dover lasciare palazzo Chigi pro­prio alla vigi­lia del seme­stre euro­peo; quella di Alfano di evi­tare un sistema elet­to­rale letale per i pic­coli par­titi anche al costo di rinun­ciare al dop­pio turno; e quella di Ber­lu­sconi di stare comun­que nella par­tita per ritor­nare pro­ta­go­ni­sta a pieno titolo accanto al nuovo lea­der Pd, alla vigi­lia dell’affidamento in prova. Può finire così. Con una nuova crea­tura uscita dal labo­ra­to­rio renzian-berlusconiano aperto dal pro­fes­sor D’Alimonte e da Ver­dini. O con un ritorno al punto di par­tenza, il vec­chio Mat­ta­rel­lum, per quanto cor­retto. Quest’ultimo è noto. La prima sarebbe invece una ver­sione ita­lica del sistema spa­gnolo: man­ter­rebbe i col­legi pic­coli (il numero si ricorda, è quello del pronto soc­corso: 118) e dun­que un’alta soglia di sbar­ra­mento (più del 5% nomi­nale), ma rega­le­rebbe ai par­titi pic­coli un recu­pero nazio­nale, cioè un sostan­zioso diritto di tri­buna. L’ultima fan­ta­sia della scienza elet­to­rale nazio­nale, pro­get­tata per stare den­tro i vin­coli recen­te­mente sta­bi­liti dalla Con­sulta, rischia però di non con­se­gnare al vin­ci­tore una mag­gio­ranza solida. Con il pre­mio limi­tato a una novan­tina di seggi, e la quota da tro­vare per i pic­coli, il rag­giun­gi­mento della fati­dica soglia 316 alla camera si gioca sulle unità.

Una capriola, un azzardo tec­nico ma un suc­cesso poli­tico per Renzi, nel caso riu­scisse alla fine a met­tere insieme tutti, da Alfano a Letta a Ber­lu­sconi. Ela­bo­rata nella notte la deter­mi­na­zione mostrata da Renzi in dire­zione, dige­rita anche la cena finita male tra il segre­ta­rio e il pre­si­dente del Con­si­glio, l’unità di crisi di palazzo Chigi ha pun­teg­giato la gior­nata di ieri di con­ti­nui allarmi. Prima Fran­ce­schini, poi il col­lega alfa­niano Lupi sono andati a col­lo­quio da Renzi. Poi la fran­tu­ma­glia cen­tri­sta ha messo insieme una nota col­let­tiva di avver­ti­mento, chie­dendo un ver­tice di mag­gio­ranza per lunedì. Il giorno in cui la camera dovrebbe comin­ciare a discu­tere la legge elet­to­rale, che in teo­ria sarebbe affi­data ai depu­tati della prima com­mis­sione. Ma soprat­tutto il giorno della dire­zione «finale» del Pd.

L’ala let­tiana del par­tito demo­cra­tico, insieme a quella ber­sa­niana che è più avversa al segre­ta­rio ma meno gover­ni­sta, hanno visto lo spa­zio per costrin­gere il lea­der a una media­zione finale. E sono par­tite all’attacco. Annun­ciando una pub­blica diser­zione al modello spa­gnolo puro. Non solo nel primo pas­sag­gio alla camera dov’è pos­si­bile il voto segreto, ma anche al senato dove que­sta even­tua­lità non c’è. Bat­ta­glia a viso aperto: «Al senato Renzi e Ber­lu­sconi non hanno i numeri». Il che signi­fica – visto che la mate­ma­tica non è un’opinione e che i gruppi di Pd e Forza Ita­lia anche senza la Lega sono oltre la mag­gio­ranza asso­luta di palazzo Madama – l’annuncio di una cla­mo­rosa spac­ca­tura in aula. Alla quale segui­rebbe, come messo in chiaro da Renzi in dire­zione, la crisi del Pd, e anche prima la crisi del governo. Uno show-down diretto a votare a mag­gio con il proporzionale.

Renzi, che aveva comin­ciato la gior­nata col grido di bat­ta­glia, per quanto in 140 carat­teri — «non mollo» — ha solo il pro­blema di non dover con­ce­dere troppo alla media­zione, nel senso di una legge che lasci aperto un varco per Alfano dove però può infi­larsi Grillo, scip­pan­do­gli la vit­to­ria annun­ciata. Ma se potrà dire di aver costretto tutti ad un accordo sulla legge elet­to­rale dopo sette anni di ritardi, avrà un bel san­tino con il quale pre­sen­tarsi agli elet­tori demo­cra­tici. Migliore della foto dell’incontro galeotto con Berlusconi.


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