L’Egitto vota la nuova Carta Scontri al Cairo, undici morti

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Le file di donne e di uomini separate com’è tradizione, i militari e la polizia a proteggere i seggi, i media che parlano solo di questa ennesima «prova di democrazia» dell’Egitto post rivoluzione. È sembrato un déjà-vu, ieri, il primo dei due giorni del referendum sulla nuova Costituzione. Ma molto se non tutto è cambiato dalla caduta di Mubarak dopo la quale «ogni egiziano è diventato un analista politico, ogni casa sembra un talk show», come ci aveva detto il politologo Hisham Qassem nel giugno 2012, ai tempi dell’elezione di Mohammad Morsi. Da quando il raìs è stato deposto un anno dopo la vittoria al primo voto democratico del Paese tutto è tornato com’era una volta. Non solo il risultato è scontato ma i sì saranno una valanga. Era dal 1999, le ultime elezioni con unico candidato Mubarak (che ieri ha fatto sapere di voler votare e votare sì al referendum), che l’opposizione non veniva annientata a tal punto. I giornalisti stranieri e i pochi locali non schierati con il regime sostengono di non aver trovato un solo elettore che ieri abbia votato (o ammesso di votare) contro la Carta. E nemmeno nel «dibattito» pre-voto si sono sentite voci critiche, tutte bandite. Vietati i poster per il no, chi li attaccava è stato arrestato.
Il «candidato unico» questa volta non è tanto la nuova Carta, che sostituirà quella «islamica» del 2012 mantenendo però la sharia come prima fonte del diritto e sancirà qualche apertura sui diritti delle donne e la libertà di coscienza ma darà a militari, polizia e magistratura (i tre grandi nemici della Fratellanza) poteri come mai prima. Il sì sarà soprattutto per Abdel Fattah Al Sisi, il pio generale che dopo essersi alleato con Morsi lo aveva deposto per poi gestire la transizione. E che si prepara, dopo questo plebiscito, a candidarsi raìs in aprile. E a vincere.
La Fratellanza, annientata politicamente, con centinaia di morti e migliaia agli arresti compresa l’intera leadership, ha chiamato al boicottaggio del referendum e ordinato ai suoi di tenersi lontano dai seggi. Incidenti ci sono stati comunque: una bomba in un tribunale del Cairo, un attacco a una chiesa a Fayyum, scontri nella capitale e a Sohag, con almeno 11 morti, qualche decina di feriti e molti arresti. Per altro, quasi ogni voto in Egitto era stato accompagnato da bilanci simili se non peggiori.
Il referendum si profila così un successo per Al Sisi e l’ampio fronte politico suo alleato, compresi i partiti di sinistra e i salafiti, gli integralisti ex alleati di Morsi che avevano poi appoggiato il golpe. Gli egiziani, la maggioranza almeno, hanno accettato il diktat dei generali, «o con noi o con i terroristi», convinti che tutti i mali siano imputabili ai Fratelli e che Al Sisi risolverà ogni problema. Pochissimi tra i liberal hanno espresso dissenso (e sono finiti in cella). Pochi ammettono che questa non è democrazia ma pensano sia l’unica soluzione. E mentre gli elicotteri Apache volavano sopra Tahrir, come altre volte dal colpo di Stato, anche la Borsa è salita.
Cecilia Zecchinelli


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