Il patto del Colle “Subito la riforma”

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 MA IL colloquio al Quirinale ha confermato, agli occhi del presidente della Repubblica, che la volontà del segretario non cambia: si può andare avanti fino al 2015 con Enrico Letta. «Sulla legge elettorale io e il capo dello Stato vogliamo la stessa cosa: farla. È il punto che sta più a cuore sia me sia a lui». Riforma e poi voto? In realtà
Renzi e Napolitano hanno parlato a lungo anche delle modifiche costituzionali, a partire dall’abolizione del Senato. «Chi immagina un percorso istituzionale, con i tempi lunghi che comporta, non ha tutta questa fretta di votare», dicono al Colle. Soddisfatti, perché la posizione del Quirinale sul semestre europeo di presidenza italiana (1 luglio-31 dicembre) non è cambiata, anche se ora i rapporti con il segretario del Pd sono molto più distesi: in quella finestra non si torna alle urne, ci prenderebbero per matti in tutto il mondo.
Se è così, il sindaco di Firenze ha un solo modo per incidere di più sulle scelte dell’esecutivo: avviare un ricambio della squadra. Poi, può chiamarlo rimpasto o come vuole. Ma il succo è quello, almeno a sentire gli uffici del Quirinale. Renzi però non si fida. Da una parte sa che la sua agenda si impone solo se cammina sulle gambe giuste, che il passaggio delle Europee è un rischio e il Pd non può arrivarci soltanto sgolandosi contro gli errori del governo perché quegli errori ricadono anche sulle spalle del nuovo vertice. E le elezioni per Strasburgo sono un passaggio difficile con gli antieuropeisti Grillo e Berlusconi già in campagna elettorale.
Dall’altra, perderebbe quella libertà di movimento che ha oggi, quando quotidianamente può criticare quasi tutta la squadra del premier, confermando la sua «diversità».
Il Letta bis, possibilità di cui ieri Renzi ha avuto conferma anche da Napolitano, sarebbe, se possibile, una soluzione ancora più vincolante. Significa una squadra nuova di zecca, concordata con i partiti alleati quindi anche con lui, costruita intorno al patto di coalizione, firmato anche da lui. Un Bingo, ma in negativo. Nascerebbe così il governo Letta-Renzi-Alfano. È più di una gabbia. È un coinvolgimento totale. Per questo, in attesa che il premier rientri dal Messico, il sindaco preferisce concentrarsi sulle riforme. Da ieri, dopo le motivazioni della Consulta sul Porcellum bocciato, si può dare una via più chiara, univoca, alle tre proposte lanciate a Capodanno.
È una strada complicata che s’intreccia con un sospetto che nella maggioranza si fa sempre più forte. Nel Partito democratico anti-renziano, soprattutto. Questo sospetto ha un titolo: Renzi a Palazzo Chigi. Svolgimento: il sindaco punta, come piano B, a scalzare Letta senza passare dal voto, a diventare premier e a guidare personalmente la transizione verso nuove elezioni che diano vita a una chiara maggioranza politica. È un’ipotesi che avrebbe l’appoggio di Scelta civica, metterebbe in difficoltà gli avversari interni del Pd e conterebbe sul timore delle urne di Angelino Alfano. Ma in questo momento resta un fondale lontano rispetto allo scenario principale: la legge elettorale, lo strumento mancante per immaginare l’opzione del voto anticipato.
La Consulta ha detto che le liste bloccate possono esistere ancora. Ma devono essere corte, ossia pochi nomi facilmente riconoscibili. Un modello che corrisponde allo “spagnolo”, il sistema preferito da Renzi. Con Dario Nardella e Maria Elena Boschi, il segretario sta facendo un doppio lavoro. Numerico, per vedere quale delle sue tre proposte ha il massimo del consenso parlamentare e i parlamentari delegati stanno incontrando davvero tutti, dal Ncd ai 5stelle. L’altro lavoro è tutto politico, basato sugli equilibri della maggioranza e la sponda dell’opposizione, in particolare Forza Italia. Berlusconi ha scelto da tempo il modello spagnolo: favorisce i due partiti maggiori e crea in sostanza un bipartitismo. Non stupisce perciò che sia anche la prima scelta del sindaco di Firenze. Però la Corte costituzionale lascia aperte tutte le porte, dal Mattarellum corretto al doppio turno di coalizione o di collegio. Per questo Renzi deve prendere una decisione.
La direzione del Pd è giovedì. Il partito chiederà al segretario di trovare un modello chiaro. Un nuovo passaggio delicato perché fra pochi giorni il sindaco potrebbe essere costretto a giocare su un solo tavolo e a scegliere qual è il suo interlocutore. In parole povere, se vuole mettere a rischio il governo o accetta un’intesa nella maggioranza.


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