Confindustria avverte il governo “Tasse vero ostacolo alla ripresa imprese italiane le più colpite”
ROMA — Troppe tasse: per le imprese italiane, piccole o grandi che siano, il problema numero uno è il Fisco, ed è lì che il governo deve intervenire se davvero vuole rilanciare la competitività del Paese. I prelievi sui redditi da lavoro sono ai vertici della classifica europea, superano ogni media e fanno volare la tassazione complessiva a carico delle aziende al 65,8 per cento degli utili prodotti. L’allarme arriva dalla Confindustria, che fa notare come di pari passo vada anche l’evasione fiscale, ma non è un caso che il suo Centro Studi pubblichi tali cifre proprio il giorno dopo le buone nuove sullo spread. Il messaggio che gli industriali lanciano a Letta è chiaro: ora che quel differenziale è scivolato sotto ai 200 punti, ora che la minor spesa per interessi sul debito pubblico libererà nuove risorse è alle tasse che il governo deve pensare.
Il documento prodotto dagli industriali è esplicito fin dal titolo («Il Fisco gioca contro. Evasione, pressione fiscale e normativa complessa spiazzano la competitività italiana») e mette sul tavolo cifre da record. Nel 2011, per esempio, le tasse che gravano sui profitti sono state pari al 2,8 per cento del Pil, contro una media dell’Eurozona pari al 2,5. Tra i nostri «concorrenti» solo il Regno Unito paga una quota è più alta (3,1) rispetto a quella italiana. In particolare la tassazione sul lavoro (fiscale e contributiva) è la più alta dell’Eurozona, Belgio a parte: guardando alla cosiddetta «aliquota implicita» (l’onere medio effettivamente versato) il peso del fisco sui redditi da lavoro raggiunge la vetta del 42,3 per cento (solo Bruxelles la supera con il 42,8). La Francia sta al 38,6%, la Germania al 37,1, la Spagna al 33,2, il Regno Unito al 26%. Una graduatoria che le imprese ritengono inconciliabile con qualsiasi desiderio di competitività e di rilancio economico. Secondo le imprese, infatti, le tasse vanno «parzialmente» spostate dal lavoro ai consumi, «riducendo la base imponibile sottoposta alle aliquote ridotte». La competitività delle aziende inoltre è affossata dagli impegni burocratici che occupano circa «269 ore l’anno». Se poi si tiene conto della devastante evasione fiscale il quadro peggiora ulteriormente: in Italia l’economia sommersa, nel 2012, era stimata pari al 21,6% del Pil, il valore più elevato della zona euro
(dopo Estonia e Cipro). L’evasione fiscale dello stesso anno è data pari a 190 miliardi di euro, in crescita di nove miliardi rispetto all’anno precedente. Il che vuol dire che chi davvero paga le tasse le paga anche per gli altri: la pressione fiscale che pesa sui contribuenti onesti volerebbe quindi al 56,2% del Pil (mente quella «ufficiale », spalmata su tutti, è ferma al 44%).
Ma l’appello ad intervenire in tempi brevi non si ferma a Confindustria: a chiedere il taglio delle tasse è anche la Cgia che guarda ai dati del 2013 e rileva come, per le piccole imprese, l’anno scorso il peso fiscale sia ulteriormente aumentato. Le aziende sotto ai dieci dipendenti (che rappresentano il 95% del totale) hanno versato più tasse per una cifra che va dai 270 ai 1.000 euro. Non sono cifre impossibili, ammette la Cgia, ma vanno ad aggiungersi «ad un carico fiscale complessivo che per le attività di questa dimensione si attesta attorno a un dato medio che oscilla tra il 53 e il 63%».
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