Obama alle Hawaii Le allegre rimpatriate della Gang dello Spinello
Barack Obama è un tipo solitario di suo, hanno scritto negli ultimi anni giornalisti e biografi, da Michael Lewis a Jodi Kantor, a Mark Halperin e John Heilemann che hanno raccontato le sue due campagne presidenziali (e quelle dei suoi avversari) in due libri gustosi, Game Change e Double Down . Barack Obama ha però uno staff di fedelissimi (Halperin e Heilemann li chiamano The Obamans ) sempre attivi nel nasconderlo (è il presidente meno accessibile nella moderna storia della Casa Bianca) e poi nel riproporlo come leader, figura assertiva, e quando serve tipo simpatico. Di quelli simpatici veramente; uno che non accetta inviti nei salotti di dame e donatori a Washington (vero); e che ha amici normalissimi. Vero anche questo. E così, in questi casi, il lavoro di marketing presidenziale è facile e di soddisfazione.
Perchè non c’è solo l’ormai leggendario seppur di nicchia Marty Nesbitt, amico del cuore che sta a Chicago, dirige un parcheggio multipiano dell’aeroporto, ha conosciuto Obama giocando a basket in un parco pubblico. C’è anche la Choom Gang , il quartetto di cui il non ancora (nessuno l’avrebbe immaginato, pare) presidente faceva parte quando andava alla Punahou School di Honolulu. Che si rivede tutti gli anni, durante le festività, alle Hawaii. Che un tempo si faceva tantissime canne (da qui il termine Choom, usato da Obama nella sua autobiografia Dreams From My Father ). Che ora gioca compulsivamente a golf (quest’anno trenta ore in sei giorni; si teme ore impegnative, Obama è iper-competitivo e non fa vincere neanche potenziali alleati e finanziatori o esponenti repubblicani a cui estorcere un voto al Senato). Di cui ora parla estensivamente il New York Times ; dopo aver pubblicato, due giorni prima, un editoriale in cui il regista Michael Moore sostiene che la sua riforma sanitaria fa schifo, che è stata concepita da think tank conservatori e compagnie assicurative, che i liberal la difendono e difendono il presidente perché non sanno che altro fare. «Un toga party», potrebbero fare, come suggeriva nei momenti di difficoltà John Belushi in Animal House , film culto che gli americani della generazione di Obama conoscono a memoria.
Comunque. Dei party della Choom Gang si sa quel che dicono i portavoce. Che gli altri tre si chiamano Mike Ramos, Bobby Titcomb e Greg Orme. Che non fumano più erba ma tra loro dicono parolacce. Che tre su quattro non vivono più nelle Hawaii, ma tornano per le vacanze, le famiglie, le uscite a quattro modello «Amici miei» o quasi. Che la Gang è volata a tifare Obama durante le primarie 2008 e prima delle convention. Che Titcomb, l’unico lupone rimasto alle Hawaii, nel 2011 è stato arrestato per trattative commerciali con una escort. Che il fattaccio non lo ha fatto espellere dalla gang; tra i quattro resiste, dicono sempre i portavoce, «affetto incondizionato». E poi, anche nella Choom Gang , qualcosa di Animal House c’è. Alla fine del film, il fattone Belushi-Bluto diventava «Senator John Blutarski, Washington, D.C.». Obama è riuscito anche meglio, in effetti.
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